«Benedetta la scuola!». È il titolo del Messaggio di mons. Giuseppe Giudice per l’inizio dell’anno scolastico 2023/2024. Il Vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, che è anche Vescovo delegato per l’Educazione e la Scuola della Conferenza Episcopale Campana, si rivolge a studenti, docenti, collaboratori scolastici, dirigenti e famiglie. Un mondo che conosce molto bene, avendo insegnato per molti anni. Inoltre, è delegato all’Educazione e alla Scuola della Conferenza episcopale campana.
Carissimi,
ricomincia la scuola, con tutta la sua filiera e il movimento che l’accompagna, e così ci accorgiamo che un’altra estate della nostra vita è finita.
Ricomincia la scuola, per il bambino che si affaccia curioso alla scuola dell’infanzia, e per il giovane che – finalmente! – approda all’ultimo anno, o varca la soglia dell’Università, dell’attesa o del primo lavoro.
Quante speranze, desideri, promesse, quanto personale, e quanta economia muove la scuola.
Si intasano al mattino le nostre città, si ripopolano le strade dei paesi e i genitori, tristi o contenti, riprendono il lavoro o attendono uno squillo dal cellulare.
La scuola è innanzitutto palestra di relazioni, di incontri, di amicizie; è tempo di impegno, orari, fatica, spazio di intervallo, fucina di primi amori; capacità di vivere con gli altri, sapendo accettare il proprio posto nel banco, primo, ultimo o in mezzo, ma sempre insieme, dando e ricevendo aiuto.
La scuola chiede passione, competenza, approfondimento, ore di ascolto e di studio; chiede intelligenza e cuore, capacità di andare alle fonti, alle grandi domande, ai perché che invocano risposte.
Compito primario della scuola è proporre attrezzature adatte per la grande scalata, in modo che l’alunno possa superare il maestro, che è tale solo se è magis-ter, tre volte superiore al discente, e per questo capace di farlo passare avanti.
Povera la nazione dove la scuola è disertata, o male pilotata; dove la si pensa come un’azienda che deve produrre scartando i pezzi riusciti male; dove difficilmente si vuole accettare che è comunità educante, dal dirigente al collaboratore scolastico, capace di aiutare a crescere per affrontare la grande partita della vita, il grande attraversamento.
Benedetta la scuola che, rispettando il ruolo di ognuno, permette a ciascuno di crescere nella propria originalità e non come fotocopie, a volte sbiadite e sgualcite.
Benedetta la scuola dove gli ultimi sono attesi, amati e rispettati, dove a nessuno è permesso di rimanere indietro e dove si cresce nella cittadinanza e nella sana responsabilità, nel rispetto reciproco e di ogni diversità, umana e religiosa.
Benedetta la scuola dove ogni giorno si cambia di posto nel banco per essere amici di tutti, e per guardare la vita da angolazioni diverse.
Benedetta la scuola dove la cultura, quella originale e non adulterata, non è un bagaglio pesante o ingombrante, ma terreno fertile e ben arato per raccogliere sempre nuovi frutti.
Benedetta la scuola che, con sagge regole, educa ad uno stile; che educa educando, che insegna insegnando, che ama appassionando, che aiuta a crescere non invadendo, ma rispettando, che promuove accogliendo e, se a volte boccia, lo fa solo per meglio accompagnare e istruire.
Benedetta la scuola che, rimettendo ordine, riconosce il primato della persona.
Benedetta la scuola dove si è sempre, e contemporaneamente, docenti e discenti, in un forte ambiente educativo, dove si insegna ad imparare e si impara ad insegnare.
Sì, benedetta la scuola, e una scuola così impregnata e appassionata!
E per tutti, come augurio, due pensieri di sant’Agostino, discepolo e maestro della Bellezza che educa.
«Gli uomini fanno fatica nell’imparare, dal momento che gli scritti concisi non riescono a capirli e quelli molto estesi non amano leggerli; e fanno parimenti fatica nell’insegnare, in quanto mettono inutilmente davanti poche cose agli stupidi e molte ai pigri» (Epistola, 162,9).
«Ad imparare ciò che è necessario nessuna età mi può sembrare troppo tarda, perché se bene ai vecchi convenga di più insegnare che imparare, tuttavia si addice di più imparare, che ignorare quello che devono insegnare» (Epistola, 166,1,1).
+ Giuseppe Giudice, Vescovo