Ventisei i direttori e i componenti degli Uffici per le Comunicazioni sociali (Ucs) della Regione ecclesiastica Campania che hanno preso parte al Giubileo del mondo della comunicazione, tenutosi a Roma dal 24 al 26 gennaio.
Un appuntamento internazionale al quale si è intrecciato il consueto Convegno nazionale promosso dall’Ucs della Conferenza episcopale italiana.
Chiamati ad abitare i confini per guardare il centro del comunicare: il cuore
L’iniziativa Cei, dedicata a “2025: A. I. confini della comunicazione”, si è aperta, infatti, il 23 gennaio. Il tempo dell’Intelligenza artificiale è un tempo di confine da approcciare con l’urgenza «di mettere in luce il valore dell’intelligenza naturale contro il rischio di smaterializzare la realtà: la libertà in punta di dito si rivela spesso un’illusione e si finisce per essere sorvegliati speciali» ha sottolineato, monsignor Domenico Pompili, vescovo di Verona e presidente della Commissione episcopale per la cultura e la comunicazione Cei, nel saluto ai 220 partecipanti giunti al Th Carpegna Palace Hotel.
Tenere a cuore e a mente l’umano è quindi fondamentale. In particolare, ha ricordato, nell’introdurre i lavori, il direttore dell’Ucs Cei, Vincenzo Corrado, i comunicatori credenti sono connessi da utenti-missionari con la password del Vangelo e abitano le connessioni con profezia e speranza: «Il pellegrinaggio è il compimento dell’azione comunicativa, andando incontro a tanti piccoli confini verso cui spingersi per guardare il centro del comunicare: il cuore, l’amore e la passione».
Questa visione chiede di non fuggire di fronte all’AI. Ne è convinta anche la presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Maria Chiara Carrozza: «Esiste una via europea alla ricerca nel campo dell’Intelligenza artificiale. Non è il momento di ritirarsi nel confine ma di una presa di posizione forte per cambiare il mondo» ha sottolineato nella sua Lectio magistralis, auspicando un Cern dell’AI. Sono tante, infatti, le sfide che l’Intelligenza artificiale pone, come illustrato da Mariagrazia Fanchi, direttore dell’Alta Scuola in media, comunicazione e spettacolo dell’Università cattolica del Sacro Cuore: «Siamo a metà tra la terza e la quarta fase dei media, è il momento migliore perché è il momento della sperimentazione, ma anche peggiore, perché ci rendiamo conto che il cambiamento ci sta ponendo delle sfide che non è ovvio che saremo in grado di affrontare», tra queste il rischio della fine del giornalismo.
Chiamati a fare la differenza curando le relazioni per un’autentica comunicazione
I comunicatori e i giornalisti credenti sono chiamati a fare la differenza in questo contesto mediale in veloce mutamento. È il messaggio invece arrivato dal secondo confronto a più voci del 24 gennaio, proposto dal programma del Convegno dell’Ucs Cei.
Il fine e lo stile della speranza è senza dubbio ciò che guida nel lavoro di comunicatori perché, ha ricordato il vicedirettore della direzione editoriale del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, Alessandro Gisotti, la «comunicazione è una dimensione della vita umana il cui valore si pesa nelle relazioni, per questo non la si può delegare ad una macchina». «Siamo persone che raccontano i fatti – ha aggiunto il direttore del Tg2, Antonio Preziosi – nella loro verità sostanziale»,. Pur dovendo tener conto della velocità informativa odierna, ha aggiunto Preziosi – non si può prescindere «dalla verifica scrupolosa: meglio arrivare secondi con una notizia vera che primi con una notizia falsa».
Questa scrupolosità può aiutare chi comunica e informa a fare la differenza. Riportando i dati del “Digital News Report”, a cura del Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford, Marco Ferrando, vicedirettore di Avvenire, ha evidenziato che non solo le persone «si sentono più a loro agio davanti a notizie mediate da un giornalista umano». Ascolto, relazione, senso, servizio, partecipazione, comunità, felicità e speranza sono le parole che devono guidare il lavoro giornalistico e della comunicazione, ha aggiunto Ferrando, facendo leva, soprattutto sulla risorsa della prossimità. Indispensabile, quest’ultima, anche nell’utilizzo di nuovi strumenti che sono nuove realtà, come i social che, ha spiegato Celesta Satta (Università di Torino), «non sono dell’entità ma ambiente da abitare perché lì ci sono persone e c’è la possibilità di creare una comunità», ecco perché bisogna conoscerli.
L’impegno degli operatori della comunicazione credenti è quello di lavorare per donare al mondo un antidoto all’incomunicabilità, ha sottolineato il direttore dell’Agensir, Amerigo Vecchiarelli, aggiungendo che «il Giubileo è e deve diventare un segno che ci riporta al significato del nostro impegno quotidiano».
La speranza ha precisato il direttore di Tv2000 Vincenzo Morgante, «è un atto di fede in un mondo segnato da aggressività diffusa. Noi dovremmo avere il gusto di comunicare e trasmettere speranza riscoprendo la funzione civile fortissima del lavoro giornalistico» e farlo in particolare, ha continuato il direttore, selezionando le notizie con l’obiettivo di intercettare non la pancia delle persone ma il cuore e usando parole sobrie e miti. Il tono proprio dei comunicatori credenti è infatti quello della gentilezza, con cui si esprime anche la propria indignazione, ha affermato il direttore di Avvenire, Marco Girardo, sottolineando che «la speranza è sinonimo di cura, un concetto che deve tornare ad essere giornalisticamente ben fondato. Dobbiamo avere cura del lavoro che facciamo, mettendo attenzione, precisione, accuratezza per ricostruire il rapporto di fiducia con i nostri universi di riferimento, perché si è incrinato qualcosa, ci sono fratture fra l’io e il noi, nella società e nell’infosfera».
Dal Papa l’incoraggiamento ad uscire da sé per accogliere l’altro
Poche ma intense parole quelle pronunciate dal papa il 25 gennaio, incontrando i comunicatori giunti a Roma da tutto il mondo, consegnando poi alla lettura personale il discorso di nove pagine: «Comunicare è uscire un po’ da se stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza. Io sono contento di questo Giubileo dei comunicatori. Il vostro lavoro costruisce la società, costruisce la Chiesa. Fa andare avanti tutti. A patto che sia vero. Bisogna essere veri nell’interiorità e nella vita. Comunicare è una cosa divina. Grazie per quello che fate».
Il Santo Padre è intervenuto al termine dell’incontro, moderato dal giornalista Mario Calabresi, con la giornalista filippina Maria Ressa, Nobel per la Pace nel 2021, e Colum McCann, scrittore irlandese di fama internazionale. Ressa si è soffermata sul rapporto tra le nuove tecnologie e la democrazia sottolineando che «il modello di business delle Big Tech – il capitalismo della sorveglianza – è costruito su un fondamentale tradimento della dignità umana dove la privacy dei dati è diventata un mito e l’IA e gli algoritmi ci hanno clonato e manipolato”. Lo scrittore McCann ha invece messo in evidenza il potere salvifico della narrazione: «Se il mondo è fatto di molecole e atomi, è anche fatto di storie. La distanza più breve tra noi non si misura in millimetri né in micrometri: è una storia. È attraverso le storie che ci connettiamo davvero”, aggiungendo che «le storie contano. Hanno il potere di cambiare il corso della Storia. Possono salvarci. Sono la colla che ci tiene uniti: senza storie non possiamo comunicare, e senza comunicazione non siamo nulla».
Chiamati ad amare il proprio mestiere per una comunicazione coraggiosa
Ultimo momento di formazione, per i comunicatori campani pellegrini a Roma, quello tenutosi il 25 pomeriggio, presso la Basilica di Santa Maria in Trastevere: uno degli otto “Dialoghi in città” in programma.
A confronto: il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, e il giornalista e saggista, Ferruccio de Bortoli, “Comunicare speranza e pace”.
Una buona informazione non dipende dal coraggio ma dall’amore che il giornalista ha per il proprio mestiere, ha sottolineato il presidente della Cei, aggiungendo che «il coraggio dipende dalla propria professionalità e dall’amore per l’umano, è così che si riesce a raccontare andando oltre il sentito dire» e auspicando un aggiornamento dei criteri di notiziabilità ma anche al “disarmo delle parole”. «Spesso, però, – ha incalzato de Bortoli – è necessario dire con una certa brutalità. L’informazione è utile alla società quando è scomoda per il potere». Una prospettiva condivisa dal cardinale Zuppi purché «non si superi il limite, perché la ‘brutalità’ non deve mai mancare di rispetto».
È importante riconoscere «la funzione civile di una buona informazione che è quella che forma una pubblica opinione responsabile» ha proseguito de Bortoli trovando il consenso del presidente della Cei che ha aggiunto: «Dovremmo trarre da questa affermazione molte avvertenze. A volte di civile c’è solo il gong per poi fare a botte». Avvertenza preziosa in un tempo in cui il potere dell’informazione, ha ricordato de Bortoli è «gestito da un potere oligarchico che condiziona il dibattito e crea fatti». Un collegamento, quello tra i due poteri che «ci deve preoccupare perché è a rischio la democrazia», ha commentato il presidente della Cei.
Il confronto ha toccato anche il tema degli abusi: «L’informazione ci ha fatto bene perché ha fatto crescere in consapevolezza. Il dolore delle vittime è il vero motivo per essere rigorosissimi», ha detto il presidente della Cei. L’ultima domanda sul fine vita: Alcune volte sembra che alla Chiesa piaccia la sofferenza: no, anche no! – ha sottolineato il cardinale Zuppi – La preoccupazione della Chiesa è difendere la vita riscoprendone la bellezza attraverso l’accompagnamento».
Mariangela Parisi
Direttore UCS Diocesi di Nola