La Carita’ di Cristo verso i Migranti

INDICE

Presentazione

Introduzione

IL FENOMENO MIGRATORIO OGGI

La sfida della mobilità umana
Migrazioni internazionali
Migrazioni interne

Parte I

LE MIGRAZIONI,
SEGNO DEI TEMPI E SOLLECITUDINE DELLA CHIESA

Visione di fede del fenomeno migratorio
Migrazioni e storia della salvezza
Cristo “straniero” e Maria icona vivente della donna migrante
La Chiesa della Pentecoste
La sollecitudine della Chiesa per il migrante e il rifugiato
L’Exsul Familia
Il Concilio Ecumenico Vaticano II
La normativa canonica
Le linee pastorali del Magistero
Gli Organismi della Santa Sede

Parte II

MIGRANTI E PASTORALE D’ACCOGLIENZA

“Inculturazione” e pluralismo culturale e religioso
La Chiesa del Concilio Ecumenico Vaticano II
Accoglienza e solidarietà
Liturgia e religiosità popolare
Migranti cattolici
Migranti cattolici di rito orientale
Migranti di altre Chiese e comunità ecclesiali
Migranti di altre religioni, in genere
Quattro attenzioni particolari
Migranti musulmani
Il dialogo inter-religioso

Parte III

OPERATORI DI UNA PASTORALE DI COMUNIONE

Nelle Chiese di partenza e di arrivo
Il Coordinatore nazionale dei Cappellani/Missionari
Il Cappellano/Missionario dei migranti
Presbiteri diocesani/eparchiali come Cappellani/Missionari
Presbiteri e Fratelli religiosi e Religiose con impegno fra i migranti
Laici, Associazioni laicali e Movimenti ecclesiali: per un impegno fra i migranti

Parte IV

STRUTTURE DI PASTORALE MISSIONARIA

Unità nella pluralità: problematica
Strutture pastorali
Pastorale d’insieme e ambiti settoriali
Le unità pastorali

Conclusione

UNIVERSALITÀ DI MISSIONE

I semina Verbi (semi del Verbo)
Operatori di comunione
Pastorale dialogante e missionaria
La Chiesa e i cristiani, segno di speranza

ORDINAMENTO GIURIDICO‑ PASTORALE

Premessa

Cap. I: I Fedeli laici
Cap. II: I Cappellani/Missionari
Cap. III: I Religiosi e le Religiose
Cap. IV: Le Autorità ecclesiastiche
Cap. V: Le Conferenze Episcopali e le rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche
Cap.VI: Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

Sigle e abbreviazioni


Presentazione

Le migrazioni odierne costituiscono il più vasto movimento di persone di tutti i tempi. In questi ultimi decenni tale fenomeno, che coinvolge ora circa duecento milioni di esseri umani, si è trasformato in realtà strutturale della società contemporanea, e costituisce un problema sempre più complesso, dal punto di vista sociale, culturale, politico, religioso, economico e pastorale.

L’Istruzione Erga migrantes caritas Christi intende aggiornare la pastorale migratoria – tenendo conto appunto dei nuovi flussi migratori e delle loro caratteristiche -, passati ormai trentacinque anni dalla pubblicazione del Motu proprio di Papa Paolo VI Pastoralis migratorum cura e dalla relativa Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum cura (“Nemo est“).

Essa vuole dunque essere una risposta ecclesiale ai nuovi bisogni pastorali dei migranti, per condurli, a loro volta, a trasformare l’esperienza migratoria in occasione non solo di crescita nella vita cristiana ma anche di nuova evangelizzazione e di missione. Il Documento tende altresì a una puntuale applicazione della legislazione contenuta nel CIC e nel CCEO per rispondere in modo più adeguato anche alle particolari esigenze di quei fedeli emigrati orientali, oggi sempre più numerosi.

La composizione delle migrazioni odierne impone inoltre la necessità di una visione ecumenica di tale fenomeno, a causa della presenza di molti migranti cristiani non in piena comunione con la Chiesa Cattolica, e del dialogo interreligioso, a motivo del numero sempre più consistente di migranti di altre religioni, in particolare di quella musulmana, in terre tradizionalmente cattoliche, e viceversa. Un’esigenza squisitamente pastorale si impone infine, e cioè il dovere di promuove un’azione pastorale fedele e allo stesso tempo aperta a nuovi sviluppi anche per quanto riguarda le nostre stesse strutture pastorali, che dovranno essere atte a garantire la comunione tra Operatori pastorali specifici e la Gerarchia locale di accoglienza, la quale rimane l’istanza decisiva della sollecitudine ecclesiale verso i migranti.

Il Documento, dopo una rapida rassegna di alcune cause dell’odierno fenomeno migratorio (l’evento della globalizzazione, il cambiamento demografico in atto soprattutto nei Paesi di prima industrializzazione, l’aumento a forbice delle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, la proliferazione di conflitti e guerre civili), sottolinea i forti disagi che generalmente l’emigrazione causa nei singoli individui, in particolare nelle donne e nei bambini, nonché nelle famiglie. Tale fenomeno solleva il problema etico della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, nella visione della comunità internazionale come famiglia di popoli, con applicazione del Diritto Internazionale. Il Documento traccia poi un preciso quadro di riferimento biblico-teologico, inserendo il fenomeno migratorio nella storia della salvezza, come segno dei tempi e della presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, in vista di una comunione universale.

Un sintetico excursus storico attesta poi la sollecitudine della Chiesa per il Migrante e il Rifugiato nei documenti ecclesiali, cioè dalla Exsul Familia al Concilio Ecumenico Vaticano II, all’Istruzione De Pastorali migratorum cura e alla successiva normativa canonica. Tale lettura rivela importanti acquisizioni teologiche e pastorali. Ci si riferisce alla centralità della persona e alla difesa dei diritti del migrante, alla dimensione ecclesiale e missionaria delle migrazioni stesse, alla valutazione del contributo pastorale dei Laici, degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, al valore delle culture nell’opera di evangelizzazione, alla tutela e alla valorizzazione delle minoranze, anche all’interno della Chiesa locale, all’importanza del dialogo intra ed extra ecclesiale, e infine allo specifico contributo che la migrazione potrebbe offrire alla pace universale.

Altre istanze – come la necessità dell'”inculturazione”, la visione di Chiesa intesa come comunione, missione e Popolo di Dio, la sempre attuale importanza di una pastorale specifica per i migranti, l’impegno dialogico-missionario di tutti i membri del Corpo mistico di Cristo e il conseguente dovere di una cultura dell’accoglienza e della solidarietà nei confronti dei migranti – introducono l’analisi di quelle specificatamente pastorali a cui rispondere, rispettivamente nel caso dei migranti cattolici, sia di rito latino che di rito orientale, di quelli appartenenti ad altre Chiese e Comunità ecclesiali, ad altre religioni in genere, e all’Islam in specie.

Viene poi ulteriormente precisata o ribadita, la configurazione, pastorale e giuridica, degli Operatori pastorali – in particolare dei Cappellani/Missionari e dei loro Coordinatori nazionali, dei Presbiteri diocesani/eparchiali, di quelli religiosi, con i loro Fratelli, delle Religiose, dei Laici, delle loro Associazioni e dei Movimenti ecclesiali – il cui impegno apostolico è visto e considerato nella visione di una pastorale di comunione, d’insieme.

L’integrazione delle strutture pastorali (quelle già acquisite e quelle proposte) e l’inserimento ecclesiale dei migranti nella pastorale ordinaria – con pieno rispetto della loro legittima diversità e del loro patrimonio spirituale e culturale, in vista anche della formazione di una Chiesa concretamente cattolica – è un’altra importante caratteristica pastorale che il Documento prospetta e propone alle Chiese particolari. Tale integrazione è condizione essenziale perché la pastorale, per e con i migranti, possa diventare espressione significativa della Chiesa universale e missio ad gentes, incontro fraterno e pacifico, casa di tutti, scuola di comunione accolta e partecipata, di riconciliazione chiesta e donata, di mutua e fraterna accoglienza e solidarietà, nonché di autentica promozione umana e cristiana.

Un aggiornato e puntuale “Ordinamento giuridico-pastorale” conclude l’Istruzione, richiamando, con appropriato linguaggio, compiti, incombenze e ruoli degli Operatori pastorali e dei vari Organismi ecclesiali preposti alla pastorale migratoria.

Stephen Fumio Cardinale Hamao
Presidente

Agostino Marchetto
Arcivescovo titolare di Astigi
Segretario

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INTRODUZIONE

Il fenomeno migratorio oggi

La sfida della mobilità umana

1. La carità di Cristo verso i migranti ci stimola (cfr. 2 Cor 5,14) ad affrontare di nuovo i loro problemi che riguardano ormai il mondo intero. Infatti pressoché tutti i Paesi, per un verso o per l’altro, si confrontano oggi con l’irrompere del fenomeno delle migrazioni nella vita sociale, economica, politica e religiosa, un fenomeno che sempre più va assumendo una configurazione permanente e strutturale. Determinato, molte volte, dalla libera decisione delle persone e motivato, abbastanza spesso, anche da scopi culturali, tecnici e scientifici, oltre che economici, esso è per lo più segno eloquente degli squilibri sociali, economici e demografici a livello sia regionale che mondiale che impulsano ad emigrare.

Tale fenomeno affonda le proprie radici pure nel nazionalismo esasperato, e in molti Paesi addirittura nell’odio o emarginazione sistematica o violenta delle popolazioni minoritarie o dei credenti di religioni non maggioritarie, nei conflitti civili, politici, etnici e perfino religiosi che insanguinano tutti i continenti. Essi alimentano flussi crescenti di rifugiati e di profughi, spesso in mescolanza con quelli migratori, coinvolgendo società nel cui interno etnie, popoli, lingue e culture diverse si incontrano, pure col rischio di contrapposizione e di scontro.

2. Le migrazioni però favoriscono anche la conoscenza reciproca e sono occasione di dialogo e comunione, se non di integrazione a vari livelli, come afferma emblematicamente Papa Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2001: “Sono molte le civiltà che si sono sviluppate e arricchite proprio per gli apporti dati dall’immigrazione. In altri casi, le diversità culturali di autoctoni e immigrati non si sono integrate, ma hanno mostrato la capacità di convivere, attraverso una prassi di rispetto reciproco delle persone e di accettazione o tolleranza dei differenti costumi”[1].

3. Le migrazioni contemporanee ci pongono di fronte a una sfida certo non facile per il loro legame con la sfera economica, sociale, politica, sanitaria, culturale e di sicurezza. Si tratta di una sfida che tutti i cristiani devono raccogliere oltre la loro buona volontà, o il carisma personale di alcuni.

Non possiamo qui dimenticare, comunque, la risposta generosa di molti uomini e donne, di Associazioni ed Organizzazioni, che, davanti alla sofferenza di tante persone, causata dall’emigrazione, lottano per i diritti dei migranti, forzati o no, e per la loro difesa. Tale impegno è frutto specialmente di quella compassione di Gesù, Buon Samaritano, che lo Spirito suscita ovunque nel cuore degli uomini di buona volontà, oltre che nella Chiesa stessa, che “rivive una volta di più il mistero del suo Divino Fondatore, mistero di vita e di morte”[2]. Il compito di annunciare la Parola di Dio affidata dal Signore alla Chiesa si è intrecciata, del resto, fin dall’inizio con la storia dell’emigrazione dei cristiani.

Abbiamo pensato dunque a questa Istruzione, che intende rispondere soprattutto ai nuovi bisogni spirituali e pastorali dei migranti e trasformare sempre più l’esperienza migratoria in veicolo di dialogo e di annuncio del messaggio cristiano. Questo Documento, inoltre, vuol rispondere ad alcune esigenze importanti e attuali. Ci riferiamo alla necessità di tenere in debito conto la nuova normativa dei due Codici Canonici vigenti, quello latino e quello orientale, rispondendo anche alle esigenze particolari dei fedeli emigrati delle Chiese Orientali Cattoliche, sempre più numerosi. Vi è altresì la necessità di una visione ecumenica del fenomeno, per la presenza, nei flussi migratori, di cristiani non in piena comunione con la Chiesa cattolica, e di quella inter-religiosa, per il numero sempre più consistente di migranti di altre religioni, in particolare musulmani. Infine bisognerà promuovere una pastorale aperta a nuovi sviluppi nelle stesse nostre strutture pastorali, che garantisca però, al tempo stesso, la comunione tra Operatori pastorali specifici e Gerarchia locale.

Migrazioni internazionali

4. Il sempre più vasto fenomeno migratorio costituisce, oggi, una importante componente di quella interdipendenza crescente fra gli Stati‑Nazione che concorre a definire l’evento della globalizzazione[3], la quale tuttavia ha aperto i mercati ma non le frontiere, ha abbattuto i confini per la libera circolazione dell’informazione e dei capitali, ma non nella stessa misura quelli per la libera circolazione delle persone. Nessuno Stato sfugge comunque alle conseguenze di una qualche forma di migrazione, che è spesso fortemente collegata a fattori negativi, quali il cambiamento demografico in atto nei Paesi di prima industrializzazione, l’aumento delle ineguaglianze tra Nord e Sud del mondo, l’esistenza negli scambi internazionali di barriere protezionistiche che non consentono ai Paesi emergenti di collocare i propri prodotti, a condizioni competitive, sui mercati dei Paesi occidentali, ed infine la proliferazione di conflitti e guerre civili. Tutte queste realtà continueranno a costituire, anche per gli anni a venire, altrettanti fattori di spinta e di espansione dei flussi migratori (cfr. EEu 87, 115 e PaG 67), anche se l’irrompere sulla scena internazionale del terrorismo provocherà reazioni, per ragioni di sicurezza, le quali ostacoleranno il movimento dei migranti, protesi verso il sogno di trovare lavoro e sicurezza nei Paesi del cosiddetto benessere, e che d’altra parte richiedono mano d’opera.

5. Non sorprende dunque che i flussi migratori abbiano comportato e comportino innumerevoli disagi e sofferenze per i migranti anche se, specialmente nella storia più recente e in determinate circostanze, essi erano spesso incoraggiati e favoriti per incrementare lo sviluppo economico sia del Paese ospite che di quello di origine (grazie soprattutto alle rimesse finanziarie degli emigrati). Molte Nazioni, infatti, non sarebbero tali quali sono oggi senza l’apporto ricevuto da milioni di immigrati.

Particolarmente colpita, nella sofferenza, è l’emigrazione dei nuclei familiari e quella femminile, diventata, quest’ultima, sempre più consistente. Contrattate sovente come lavoratrici non qualificate (domestiche) e impiegate nel lavoro sommerso, le donne sono private, spesso, dei più elementari diritti umani e sindacali, quando non cadono vittime addirittura del triste fenomeno noto come “traffico umano”, che ormai non risparmia neppure i bambini. E’ un nuovo capitolo della schiavitù.

Anche senza giungere a tali estremi, va ribadito che i lavoratori stranieri non sono da considerarsi una merce o una mera forza lavoro, e non devono quindi essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante gode, cioè, di diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati in ogni caso. Il contributo dei migranti all’economia del Paese che li ospita è legato poi alla possibilità di usare, nel loro operare, la propria intelligenza e abilità.

6. A questo proposito la Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie ‑ entrata in vigore il primo luglio 2003 e la cui ratifica è stata vivamente raccomandata da Giovanni Paolo II[4] – offre un compendio di diritti[5] che permettono al migrante di apportare detto contributo, per cui quanto tale Convenzione prevede merita adesione specialmente da parte di quegli Stati che più traggono benefici dalla migrazione stessa. A tal fine, la Chiesa incoraggia la ratifica degli strumenti internazionali legali che assicurano i diritti dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie, offrendo anche nelle sue varie Istituzioni e Associazioni competenti quell’advocacy che oggi è sempre più necessaria (v. i Centri di attenzione ai Migranti, le Case per essi aperte, gli Uffici per i servizi umani, di documentazione e “assessoramento”, ecc.). In effetti i migranti sono spesso vittime del reclutamento illegale e di contratti a breve termine con povere condizioni di lavoro e di vita, dovendo soffrire per abusi fisici, verbali e finanche sessuali, impegnati per lunghe ore nel lavoro e senza accesso, frequentemente, ai benefìci delle cure mediche e alle normali forme di assicurazione.

Tale precaria situazione di tanti stranieri, che dovrebbe sollecitare la solidarietà di tutti, causa invece timori e paure in molti, che sentono gli immigrati come un peso, li vedono con sospetto e li considerano addirittura come un pericolo e una minaccia. Ciò provoca spesso manifestazioni di intolleranza, xenofobia e razzismo[6].

7. La crescente presenza musulmana, come del resto quella di altre religioni, in Paesi con popolazione tradizionalmente in prevalenza cristiana, si inscrive infine nel capitolo, più ampio e complesso, dell’incontro tra culture diverse e del dialogo tra religioni. Vi è comunque anche una numerosa presenza cristiana in alcune Nazioni con popolazione a grandissima maggioranza musulmana.

Di fronte a un fenomeno migratorio così generalizzato, e dai risvolti profondamente diversi rispetto al passato, a poco servirebbero dunque politiche circoscritte al livello meramente nazionale. Nessun Paese da solo può pensare, infatti, di risolvere oggi i problemi migratori. Ancor più inefficaci risulterebbero politiche puramente restrittive, le quali genererebbero, a loro volta, effetti ancora più negativi, rischiando di accrescere gli ingressi illegali e addirittura di favorire l’attività di organizzazioni criminali.

8. Le migrazioni internazionali sono così, a ragion veduta, considerate una importante componente strutturale della realtà sociale, economica e politica del mondo contemporaneo e la loro consistenza numerica rende necessarie una sempre più stretta collaborazione tra Paesi generatori e ricettori oltre che adeguate normative in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi. E ciò al fine di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate, e al tempo stesso quelli delle società di arrivo dei migranti stessi.

Ma, contemporaneamente, il fenomeno migratorio solleva una vera e propria questione etica, quella della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe non poco, del resto, a ridurre e moderare ì flussi di una numerosa parte delle popolazioni in difficoltà. Di qui la necessità anche di un impegno più incisivo per realizzare sistemi educativi e pastorali, in vista di una formazione alla “mondialità”, a una nuova visione, cioè, della comunità mondiale, considerata come famiglia di popoli, a cui finalmente sono destinati i beni della terra, in una prospettiva del bene comune universale.

9. Le migrazioni attuali, inoltre, pongono ai cristiani nuovi impegni di evangelizzazione e di solidarietà, chiamandoli ad approfondire quei valori, pure condivisi da altri gruppi religiosi o laici, assolutamente indispensabili per assicurare una armonica convivenza. Il passaggio da società monoculturali a società multiculturali può rivelarsi così segno di viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offre un’opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale.

Il nuovo contesto storico è caratterizzato di fatto dai mille volti dell’altro e la diversità, a differenza del passato, diviene cosa comune in moltissimi Paesi. I cristiani sono chiamati perciò a testimoniare e praticare, oltre allo spirito di tolleranza ‑ che pure è una grandissima acquisizione politica e culturale, e anche religiosa ‑, il rispetto dell’altrui identità, avviando, dove è possibile e conveniente, percorsi di condivisione con persone di origine e cultura differenti, in vista anche di un “rispettoso annuncio” della propria fede. Siamo tutti convocati perciò alla cultura della solidarietà[7], tante volte auspicata dal Magistero, per giungere insieme ad una vera e propria comunione di persone. E’ il cammino, non facile, che la Chiesa invita a percorrere.

Migrazioni interne

10. In questi ultimi tempi sono altresì notevolmente aumentate le migrazioni interne, in vari Paesi, sia volontarie, come quelle dalla campagna alle grandi città, che forzate, è questo il caso degli sfollati, di coloro che fuggono dal terrorismo, dalla violenza e dal narcotraffico, soprattutto in Africa e America Latina. Si stima infatti che la maggior parte dei migranti, nel mondo intero, si muova oggi all’interno della propria Nazione, anche con ritmi stagionali.

Il fenomeno di questa mobilità, per lo più abbandonata a se stessa, ha favorito la crescita rapida e disordinata di centri urbani impreparati ad accogliere masse umane così rilevanti ed ha alimentato la formazione di periferie urbane dove le condizioni di vita, socialmente e moralmente, sono precarie. Tale fenomeno costringe cioè i migranti ad insediarsi in ambienti con caratteristiche profondamente diverse da quelle d’origine, creando rilevanti disagi umani, pesanti pericoli di sradicamento sociale, con gravi conseguenze sulle tradizioni religiose e culturali delle popolazioni.

Eppure le migrazioni interne vanno sollevando grandi speranze, purtroppo spesso illusorie e infondate, in milioni di individui, separandoli però anche dagli affetti familiari e proiettandoli in regioni diverse per clima e costumi, ancorché spesso linguisticamente omogenee. Se essi poi ritornano al loro luogo di origine, lo fanno portando con sé un’altra mentalità e diversi stili di vita, non raramente anche con altra visione del mondo o religiosa e differenti comportamenti morali. Sono, anche queste, sfide all’azione pastorale della Chiesa Madre e Maestra.

11. L’attuale realtà richiede pertanto, pure in questo campo, da parte degli Operatori pastorali e delle comunità di accoglienza, della Chiesa in una parola, una attenzione premurosa alle persone in mobilità e alle loro esigenze di solidarietà e di fraternità. Anche attraverso le migrazioni interne lo Spirito rivolge, con chiarezza e urgenza, l’appello a un rinnovato e forte impegno di evangelizzazione e di carità, mediante articolate forme di accoglienza e di azione pastorale, costanti e capillari, il più possibile adeguate alla realtà e rispondenti alle concrete, specifiche necessità degli stessi migranti.

PARTE I

Le migrazioni, segno dei tempi e sollecitudine della Chiesa

Visione di fede del fenomeno migratorio

12. La Chiesa ha sempre contemplato nei migranti l’immagine di Cristo, che disse: “Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35). La loro vicenda, per essa, è cioè una provocazione alla fede e all’amore dei credenti, sollecitati così a sanare i mali derivanti dalle migrazioni e a scoprire il disegno che Dio attua in esse, anche qualora fossero causate da evidenti ingiustizie.

Le migrazioni, avvicinando le molteplici componenti della famiglia umana, tendono in effetti alla costruzione di un corpo sociale sempre più vasto e vario, quasi a prolungamento di quell’incontro di popoli e razze che, per il dono dello Spirito, nella Pentecoste, divenne fraternità ecclesiale.

Se da una parte le sofferenze che accompagnano le migrazioni sono infatti espressione del travaglio del parto di una nuova umanità, dall’altra le disuguaglianze e gli squilibri, dei quali esse sono conseguenza e manifestazione, mostrano in verità la lacerazione introdotta nella famiglia umana dal peccato, e risultano pertanto una dolorosa invocazione alla vera fraternità.

13. Questa visione ci porta ad accostare le migrazioni a quegli eventi biblici che scandiscono le tappe del faticoso cammino dell’umanità verso la nascita di un popolo oltre le discriminazioni e le frontiere, depositario del dono di Dio per tutti i popoli e aperto alla vocazione eterna dell’uomo. La fede vi intravede, cioè, il cammino dei Patriarchi che, sostenuti dalla Promessa, tendevano alla Patria futura e quello degli Ebrei che furono liberati dalla schiavitù, passando attraverso il Mar Rosso, con l’esodo che dà origine al Popolo dell’Alleanza. Sempre la fede vi trova, in un certo senso, l’esilio che pone l’uomo di fronte alla relatività di ogni meta raggiunta, e vi scopre di nuovo il messaggio universale dei Profeti. Essi denunciano, come contrarie al disegno di Dio, le discriminazioni, le oppressioni, le deportazioni, le dispersioni e le persecuzioni, e ne prendono occasione per annunciare la salvezza per tutti gli uomini, testimoniando che, pure nel caotico succedersi e contraddirsi degli avvenimenti umani, Dio continua a tessere il suo disegno di salvezza fino alla completa ricapitolazione dell’universo in Cristo (cfr. Ef 1,10).

Migrazioni e storia della salvezza

14. Possiamo considerare dunque l’odierno fenomeno migratorio un “segno dei tempi” assai importante, una sfida da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità rinnovata e nell’annuncio del Vangelo della pace.

La Sacra Scrittura di tutto ci propone il senso. In effetti Israele trasse la sua origine da Abramo che, obbediente alla voce di Dio, uscì dalla sua terra e andò in Paese straniero portando con sé la Promessa divina di diventare padre “di un grande popolo” (Gn 12,1‑2). Giacobbe, da “Arameo errante, scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa” (Dt 26,5). Israele ricevette la solenne investitura di “Popolo di Dio” dopo lunga schiavitù in Egitto, durante i quarant’anni di “esodo” attraverso il deserto. La dura prova delle migrazioni e deportazioni è quindi fondamentale nella storia del Popolo eletto, in vista della salvezza di tutti i popoli: così è nel ritorno dall’esilio (cfr. Is 42, 6‑7; 49,5). Con tale memoria esso si sente rinfrancato nella fiducia in Dio, anche nei momenti più oscuri della sua storia (Sal 105 [104], 12-15; Sal 106 [105], 45‑47). Nella Legge, poi, si giunge a dare, per i rapporti con lo straniero dimorante nel paese, lo stesso comando impartito per quelli con “i figli del tuo popolo” (Lv 19,18), cioè “tu l’amerai come te stesso” (Lv 19,34).

Cristo “straniero” e Maria icona vivente della donna migrante

15. Più ancora che prossimo, il cristiano contempla nello straniero il volto di Cristo stesso, il Quale nasce in una mangiatoia e, straniero, fugge in Egitto, assumendo e ricapitolando in sé questa fondamentale esperienza del suo popolo (cfr. Mt2,13ss). Nato fuori casa e proveniente da fuori Patria (cfr. Lc 2,4‑7), abitò in mezzo a noi (cfr. Gv 1,11.14) e trascorse la sua vita pubblica, itinerante, percorrendo “città e villaggi” (cfr. Lc 13,22; Mt 9,35). Risorto, e tuttavia ancora straniero, sconosciuto, apparve, in cammino verso Emmaus, a due suoi discepoli che lo riconobbero solo allo spezzar del pane (cfr. Lc 24,35). I cristiani sono quindi alla sequela di un viandante “che non ha dove posare il capo (Mt 8,20; Lc 9,58)”[8].

Maria, poi, la Madre di Gesù, su questa linea di considerazioni, può essere contemplata altresì come icona vivente della donna migrante[9]. Ella dà alla luce suo Figlio lontano da casa (cfr. Lc 2,1‑7) ed è costretta a fuggire in Egitto (cfr. Mt 2,13‑14). La devozione popolare considera quindi giustamente Maria come Madonna del cammino.

La Chiesa della Pentecoste

16. Contemplando ora la Chiesa, vediamo che nasce dalla Pentecoste, compimento del mistero pasquale ed evento efficace, anche simbolico, d’incontro di popoli. Paolo può così esclamare: “Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero” (Col 3,11). Cristo, infatti, dei due popoli, ha costituito “una unità, abbattendo il muro di separazione” (Ef 2,14).

D’altra parte, seguire Cristo significa andare dietro a Lui ed essere di passaggio nel mondo, poiché “non abbiamo quaggiù una città stabile” (Eb 13,14). Il credente è sempre un pároikos, un residente temporaneo, un ospite, ovunque si trovi (cfr. 1Pt 1,1; 2,11 e Gv 17,14‑16). Per questo la propria collocazione geografica nel mondo non è poi così importante per i cristiani[10] e il senso dell’ospitalità è loro connaturale. Gli Apostoli insistono su questo punto (cfr. Rm 12,13; Eb 13,2; 1Pt 4,9; 3Gv 5) e le Lettere pastorali lo raccomandano particolarmente all‘episkopos (cfr. 1Tim 3,2 e Tt 1,8). Nella Chiesa primitiva, l’ospitalità fu dunque la pratica con la quale i cristiani risposero anche alle esigenze dei missionari itineranti, capi religiosi esiliati, o di passaggio, e persone povere delle varie comunità.[11]

17. Gli stranieri sono altresì segno visibile e richiamo efficace di quell’universalismo che è elemento costitutivo della Chiesa cattolica. Una “visione” di Isaia l’annunciava: “Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti … ad esso affluiranno tutte le genti” (Is 2,2). Nel Vangelo Gesù stesso lo predice: “Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio” (Lc 13,29) e nell’Apocalisse si contempla “una moltitudine immensa … di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9). La Chiesa è ora in faticoso cammino verso tale meta finale[12], e di questa moltitudine le migrazioni possono essere come un richiamo e una prefigurazione dell’incontro ultimo di tutta l’umanità con Dio e in Dio.

18. Il cammino dei migranti può diventare così segno vivo di una vocazione eterna, impulso continuo a quella speranza che, additando un futuro oltre il mondo presente, ne sollecita la trasformazione nella carità e il superamento escatologico. Le loro peculiarità diventano richiamo alla fraternità pentecostale, dove le differenze sono armonizzate dallo Spirito e la carità si fa autentica nell’accettazione dell’altro. La vicenda migratoria può essere l’annuncio, quindi, del mistero pasquale, per il quale morte e resurrezione tendono alla creazione dell’umanità nuova nella quale non vi è più né schiavo né straniero (cfr. Gal 3,28).

La sollecitudine della Chiesa per il migrante e il rifugiato

19. Il fenomeno migratorio del secolo scorso costituì una sfida per la pastorale della Chiesa, articolata in parrocchie territoriali stabili. Se, in precedenza, il Clero era solito accompagnare i gruppi che colonizzavano nuove terre, per continuare tale cura pastorale, già oltre la metà dell’800, furono frequenti gli incarichi a Congregazioni religiose per l’assistenza ai migranti[13].

Nel 1914, poi, vi fu una prima definizione del Clero incaricato a tale riguardo, con il Decreto Ethnografica studia[14] che sottolineava la responsabilità della Chiesa autoctona di assistere gli immigrati e suggeriva una preparazione specifica ‑linguistica, culturale e pastorale‑ del Clero indigeno. Il Decreto Magni semper del 1918[15], a seguito della promulgazione del Codice di Diritto Canonico, affidava quindi alla Congregazione Concistoriale le procedure di autorizzazione del Clero per l’assistenza ai migranti.

Nel secondo dopoguerra, nel secolo scorso, si fece ancora più drammatica la realtà migratoria non solo per le distruzioni causate dal conflitto, ma anche per l’acuirsi del fenomeno dei rifugiati (specie dai Paesi detti dell’Est), non pochi dei quali erano fedeli di varie Chiese Orientali Cattoliche.

L’Exsul Familia

20. Si sentiva dunque ormai l’esigenza di un documento che raccogliesse l’eredità dei precedenti ordinamenti e disposizioni e orientasse verso una pastorale organica. Ne è risposta provvida la Costituzione Apostolica Exsul Familia[16] pubblicata da Pio XII il 1 agosto 1952, che è considerata la magna charta del pensiero della Chiesa sulle migrazioni. E’ il primo documento ufficiale della Santa Sede che delinea in modo globale e sistematico, dal punto di vista storico e canonico, la pastorale per i migranti. Ad un’ampia analisi storica, nella Costituzione, segue infatti una parte propriamente normativa molto articolata. Viene ivi affermata la responsabilità primaria del Vescovo diocesano locale nella cura pastorale dei migranti, anche se l’organizzazione in merito è ancora demandata alla Congregazione Concistoriale.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II

21. In seguito, il Concilio Vaticano II elaborò importanti linee direttive circa tale pastorale specifica, invitando anzitutto i cristiani a conoscere il fenomeno migratorio (cfr. GS 65 e 66) e a rendersi conto dell’influsso che l’emigrazione ha sulla vita. Sono ivi ribaditi il diritto all’emigrazione (cfr. GS 65)[17], la dignità del migrante (cfr. GS 66), la necessità di superare le sperequazioni nello sviluppo economico e sociale (cfr. GS 63) e di rispondere alle esigenze autentiche della persona (cfr. GS 84). All’Autorità civile il Concilio riconobbe peraltro, in un contesto particolare, il diritto di regolare il flusso migratorio (cfr. GS 87).

Il Popolo di Dio ‑ secondo il dettato conciliare ‑ deve assicurare il suo apporto generoso in fatto di emigrazione e i laici cristiani, soprattutto, sono sollecitati ad estendere la loro collaborazione nei settori più svariati della società (cfr. AA 10), facendosi altresì “prossimo” del migrante (cfr. GS 27). Uno speciale interessamento i Padri conciliari riservano poi per quei fedeli che, “a motivo della loro condizione di vita, non possono godere a sufficienza della comune ordinaria cura pastorale dei parroci o ne sono privi del tutto, come sono moltissimi emigrati, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti ai trasporti aerei, i nomadi, e altre simili categorie di persone. Si promuovano ‑ essi chiedono ancora ‑ metodi pastorali adatti per sostenere la vita spirituale dei turisti. Le Conferenze Episcopali e specialmente quelle nazionali dedichino ‑ invitano infine i Padri conciliari ‑ premurosa attenzione ai più urgenti problemi riguardanti le predette categorie umane e con opportuni mezzi e direttive, in concordia di intenti e di sforzi, provvedano adeguatamente alla loro assistenza religiosa, tenendo presenti in primo luogo le disposizioni date o da darsi dalla Sede Apostolica, adattate convenientemente alle situazioni dei tempi, dei luoghi e delle persone”[18].

22. Il Concilio Vaticano II segna quindi un momento decisivo per la cura pastorale dei migranti e degli itineranti, conferendo una particolare importanza al significato della mobilità e cattolicità e a quello delle Chiese particolari, al senso della Parrocchia e alla visione della Chiesa come mistero di comunione. Per questo essa appare e si presenta quale “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4).

L’accoglienza dello straniero, che caratterizza la Chiesa nascente, rimane quindi sigillo perenne della Chiesa di Dio. Essa resta quasi contrassegnata da una vocazione all’esilio, alla diaspora, alla dispersione tra le culture e le etnie, senza mai identificarsi completamente con nessuna di esse, altrimenti cesserebbe di essere, appunto, primizia e segno, fermento e profezia del Regno universale e comunità che accoglie ogni essere umano, senza preferenza di persone e di popoli. L’accoglienza dello straniero è inerente dunque alla natura stessa della Chiesa e testimonia la sua fedeltà al Vangelo[19].

23. In continuità e attuazione dell’insegnamento conciliare, Papa Paolo VI emanò il Motu proprio Pastoralis Migratorum Cura[20] (1969), promulgando l’Istruzione De Pastorali Migratorum Cura.[21] Nel 1978, seguì ‑ da parte della Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, Organismo incaricato allora della cura dei migranti ‑ la Lettera circolare alle Conferenze episcopali Chiesa e mobilità umana[22], che offrì una lettura aggiornata, all’epoca, del fenomeno migratorio e una sua precisa interpretazione e applicazione pastorale. Sviluppando il tema dell’accoglienza dei migranti da parte della Chiesa locale il documento sottolineò la necessità di una collaborazione intraecclesiale in vista di una pastorale senza frontiere e riconobbe infine e valorizzò lo specifico ruolo dei Laici, dei Religiosi e delle Religiose.

La normativa canonica

24. Il nuovo Codice di Diritto Canonico per la Chiesa Latina, ancora in attuazione conciliare, a conferma, raccomanda al Parroco una speciale diligenza verso chi è lontano dalla patria (can. 529, §1), pur sostenendo l’opportunità e l’obbligo, per quanto possibile, di una cura pastorale specifica (can. 568). Esso contempla così, come fa il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, la costituzione di Parrocchie personali (CIC can. 518 e CCEO can. 280, §1), oltre che di Missioni con cura d’anime (can. 516), nonché la figura di specifici soggetti pastorali, come il Vicario episcopale (can. 476) e il Cappellano per i migranti (can. 568).

Il nuovo Codice prevede altresì, in attuazione conciliare (cfr. PO 10 e AG 20, nota 4, e 27, nota 28), l’istituzione di altre specifiche strutture pastorali previste nella legislazione e nella prassi della Chiesa[23].

25. Poiché nella mobilità umana ora sono legioni pure i fedeli delle Chiese Cattoliche Orientali dall’Asia e dal Medio Oriente, dall’Europa centrale e orientale, che si dirigono verso i Paesi d’Occidente, si pone in modo evidente il problema anche della loro cura pastorale, sempre nell’ambito della responsabilità decisiva dell’Ordinario di luogo d’accoglienza. Vanno quindi considerate con urgenza le conseguenze pastorali e giuridiche della loro presenza, sempre più consistente, fuori dai tradizionali territori e dei contatti che si vanno realizzando a vari livelli, ufficiali o privati, individuali o collettivi, tra comunità e tra singoli suoi membri. E la relativa normativa specifica, che consente alla Chiesa cattolica di respirare già, in un certo senso, con due polmoni[24], è contenuta nel CCEO[25].

26. Tale Codice contempla così la costituzione di Chiese sui iuris (CCEO cann. 27, 28 e 147), raccomanda la promozione e l’osservanza dei “riti delle Chiese orientali, quali patrimonio della Chiesa universale di Cristo” (can. 39; cfr. anche i cann. 40 e 41) e stabilisce una precisa normativa riguardante le leggi liturgiche e disciplinari (can.150). Esso fa obbligo al Vescovo eparchiale di assistere anche i fedeli cristiani “di qualsiasi età, condizione, nazione o Chiesa sui iuris, sia che abitino nel territorio della Eparchia sia che vi restino temporaneamente” (can. 192, §1) e di curare che i fedeli cristiani di un’altra Chiesa sui iuris, a lui affidati, “conservino il rito della propria Chiesa” (can. 193, §1), possibilmente grazie a “presbiteri e parroci della stessa Chiesa sui iuris” (can. 193, §2). Il Codice raccomanda infine che la parrocchia sia territoriale, senza escludere quelle personali, se richieste da particolari condizioni (cfr. can. 280, §1).

Nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali si prevede anche l’esistenza dell’Esarcato, definito come “una porzione del popolo di Dio che, per speciali circostanze, non viene eretta in eparchia e che, circoscritta in un territorio, o qualificata con altri criteri, è affidata alla cura pastorale dell’Esarca” (CCEO can. 311, §1).

Le linee pastorali del Magistero

27. Accanto alla normativa canonica, una lettura attenta dei Documenti e delle disposizioni che la Chiesa ha finora emanati circa il fenomeno migratorio porta a sottolinearvi alcune importanti acquisizioni teologiche e pastorali, vale a dire: la centralità della persona e la difesa dei diritti dell’uomo e della donna migrante e quelli dei loro figli; la dimensione ecclesiale e missionaria delle migrazioni; la rivalutazione dell’apostolato dei Laici, il valore delle culture nell’opera di evangelizzazione; la tutela e la valorizzazione delle minoranze, anche all’interno della Chiesa; l’importanza del dialogo intra ed extra ecclesiale; il contributo specifico dell’emigrazione per la pace universale. Tali documenti connotano inoltre la dimensione pastorale dell’impegno per i migranti. Nella Chiesa tutti devono infatti trovare la “loro Patria” [26]: essa è il mistero di Dio tra gli uomini, mistero dell’Amore mostrato dal Figlio Unigenito, specialmente nella sua morte e resurrezione, affinché tutti “abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10), tutti trovino la forza per superare ogni divisione e facciano sì che le differenze non portino a rotture ma a comunione, mediante l’accoglienza dell’altro nella sua diversità legittima.

28. Nella Chiesa è rivalutato, poi, il ruolo degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, nel loro contributo specifico alla cura pastorale dei migranti[27]. La responsabilità, al riguardo, dei Vescovi diocesani/eparchiali, è riaffermata in modo inequivocabile, e ciò vale sia per la Chiesa di partenza che per la Chiesa di arrivo. In tale responsabilità sono coinvolte poi le Conferenze Episcopali dei vari Paesi e le rispettive Strutture delle Chiese Orientali. La cura pastorale dei migranti, infatti, comporta accoglienza, rispetto, tutela, promozione, amore autentico di ogni persona nelle sue espressioni religiose e culturali.

29. I più recenti interventi pontifici hanno anche ribadito e ampliato gli orizzonti e le prospettive pastorali in relazione al fenomeno migratorio, nella linea dell’uomo via per la Chiesa[28].Fin dal pontificato di Papa Paolo VI, e successivamente in quello di Giovanni Paolo II, soprattutto nei suoi <href=”.. ..=”” holy_father=”” john_paul_ii=”” messages=”” migration=”” index_it.htm?=””>Messaggi in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato[29], si ribadiscono così diritti fondamentali della persona, in particolare il diritto a emigrare per una migliore realizzazione delle proprie capacità e aspirazioni e dei progetti di ciascuno[30] (contestualmente, però, al diritto di ogni Paese a gestire una politica migratoria che corrisponda al bene comune), nonché il diritto a non emigrare, ad essere cioè nelle condizioni di realizzare i propri diritti ed esigenze legittime nel Paese di origine[31].

Il Magistero ha sempre denunciato altresì gli squilibri socio‑economici, che sono per lo più causa delle migrazioni, i rischi di una globalizzazione senza regole, in cui i migranti appaiono più vittime che protagonisti della loro vicenda migratoria e il grave problema dell’immigrazione irregolare, soprattutto quando il migrante diventa oggetto di traffico e di sfruttamento da parte di bande criminali[32].

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30. Il Magistero ha ribadito pure la necessità di una politica che assicuri a tutti i migranti la certezza del diritto, “evitando accuratamente ogni possibile discriminazione” [33], sottolineando una vasta gamma di valori e comportamenti (l’ospitalità, la solidarietà, la condivisione) e la necessità di rigettare ogni sentimento e manifestazione di xenofobia e razzismo da parte di chi li riceve[34]. Grande attenzione è data, nel contesto della legislazione come nella prassi amministrativa dei vari Paesi, all’unità familiare e alla tutela dei minori, spesso compromessa dalle migrazioni[35], come pure alla formazione, mediante le migrazioni, di società multiculturali.

La pluralità culturale sollecita così l’uomo contemporaneo al dialogo e al confronto anche sulle grandi questioni esistenziali quali il senso della vita e della storia, della sofferenza e della povertà, della fame e delle malattie, della morte. L’apertura alle diverse identità culturali però non significa accettarle tutte indiscriminatamente, ma rispettarle ‑ perché inerenti alle persone ‑ ed eventualmente apprezzarle nella loro diversità. La “relatività” delle culture è del resto sottolineata anche dal Concilio Vaticano II (cfr. GS 54, 55, 56, 58). La pluralità è ricchezza e il dialogo è già realizzazione, anche se imperfetta e in continua evoluzione, di quell’unità definitiva a cui l’umanità aspira ed è chiamata.

Gli Organismi della Santa Sede

31. La costante sollecitudine della Chiesa per l’assistenza religiosa, sociale e culturale ai migranti, testimoniata dal Magistero, è comprovata altresì dagli speciali Organismi che la Santa Sede ha istituito a tale scopo.

La loro ispirazione originaria si trova nel memoriale Pro emigratis catholicis, del Beato Giovanni Battista Scalabrini, il quale, consapevole delle difficoltà che innescavano all’estero i vari nazionalismi europei, propose alla Santa Sede l’istituzione di una Congregazione (o Commissione) pontificia per tutti gli emigrati cattolici. Scopo di tale Congregazione, composta da rappresentanti di varie Nazioni, doveva essere “l’assistenza spirituale degli emigrati nelle svariate contingenze e nei periodi vari del fenomeno, specialmente nelle Americhe, e di tener viva così nel loro cuore la fede cattolica”[36].

Quella intuizione si concretò in modo graduale. Nel 1912, dopo la riforma della Curia Romana da parte di San Pio X, si creò il primo Ufficio per i problemi delle migrazioni, all’interno della Congregazione Concistoriale, mentre nel 1970 fu istituita, da Papa Paolo VI, la Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo che, nel 1988, con la Costituzione Apostolica Pastor Bonus, è diventata Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Ad esso fu demandata la cura di quanti “sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto”: profughi ed esuli, migranti, nomadi e gente del circo, marittimi sia in navigazione che nei porti, tutti coloro che si trovano fuori del proprio domicilio e quanti prestano il loro lavoro negli aeroporti o sugli aerei[37].

32. Il Pontificio Consiglio ha dunque il compito di suscitare, promuovere e animare le opportune iniziative pastorali a favore di coloro che, per propria scelta o per necessità, lasciano il loro luogo di residenza abituale, nonché di seguire con attenzione le questioni sociali, economiche e culturali che di solito sono all’origine di tali spostamenti.

Direttamente, il Pontificio Consiglio si rivolge alle Conferenze Episcopali e ai loro relativi Consigli regionali, alle rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche interessate, e ai singoli Vescovi/Gerarchi, sollecitandoli, nel rispetto delle responsabilità di ciascuno, ad attuare una pastorale specifica per coloro che sono coinvolti nel fenomeno sempre più vasto della mobilità umana, adottando i provvedimenti richiesti dalle mutevoli situazioni.

Negli ultimi tempi, poi, anche nelle relazioni ecumeniche si è inserita la dimensione migratoria, per cui si moltiplicano i primi contatti al riguardo con altre Chiese e Comunità ecclesiali. La prospettiva si fa attenta anche al dialogo inter-religioso. Il Pontificio Consiglio stesso, con i suoi Superiori e Officiali, è presente infine, a volte, nell’arena internazionale in rappresentanza della Santa Sede in occasione di riunioni di Organismi multilaterali.

33. Tra le principali Organizzazioni cattoliche dedite all’assistenza ai migranti e rifugiati non possiamo dimenticare, in questo contesto, la costituzione, nel 1951, della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni. Il sostegno che, in questi primi cinquant’anni, la Commissione ha offerto a Governi e Organismi internazionali, con spirito cristiano, e il suo contributo originale, nel ricercare soluzioni durature per i migranti e i rifugiati in tutto il mondo, costituiscono un grande suo merito. Il servizio che la Commissione ha prestato, e presta tuttora, “è vincolato da una duplice fedeltà: a Cristo … e alla Chiesa” – come ha affermato Giovanni Paolo II[38] -. La sua opera “è stata un elemento tanto fecondo di cooperazione ecumenica e interreligiosa” [39].

Non possiamo infine dimenticare il grande impegno delle varie Caritas e di altri Organismi di carità e solidarietà, nel servizio anche dei migranti e dei rifugiati.

PARTE II

Migranti e pastorale d’accoglienza

“Inculturazione” e pluralismo culturale e religioso

34. Sacramento di unità, la Chiesa vince le barriere e le divisioni ideologiche o razziali e a tutti gli uomini e a tutte le culture proclama la necessità di tendere alla verità, in una prospettiva di giusto confronto, di dialogo e d’accoglienza reciproca. Le diverse identità culturali devono così aprirsi ad una logica universale, non già sconfessando le proprie positive caratteristiche, ma mettendole a servizio dell’intera umanità. Mentre impegna ogni Chiesa particolare, questa logica evidenzia e manifesta quella unità nella diversità che si contempla nella visione trinitaria, la quale, a sua volta, rimanda la comunione di tutti alla pienezza della vita personale di ciascuno.

In questa prospettiva la situazione culturale odierna, nella sua dinamica globale, per una incarnazione dell’unica fede nelle varie culture, rappresenta una sfida senza precedenti, vero kairòs che interpella il Popolo di Dio (cfr. EEu 58).

35. Ci troviamo di fronte, cioè, ad un pluralismo culturale e religioso forse mai sperimentato così coscientemente finora. Da una parte si procede a grandi passi verso una apertura mondiale, facilitata dalla tecnologia e dai mass-media – che arriva a porre a contatto o addirittura a rendere interni l’uno all’altro universi culturali e religiosi tradizionalmente diversi ed estranei tra loro -, dall’altra rinascono esigenze di identità locale, che colgono nella specificità culturale di ciascuno lo strumento della propria realizzazione.

36. Questa fluidità culturale rende quindi ancor più indispensabile l”inculturazione” perché non si può evangelizzare senza entrare in profondo dialogo con le culture. Insieme a popoli con radici diverse, altri valori e modelli di vita bussano dunque alla nostra porta. Mentre ogni cultura tende così a pensare il contenuto del Vangelo nel proprio ambito di vita, compete al Magistero della Chiesa guidare tale tentativo e giudicarne la validità.

L'”inculturazione” comincia con l’ascolto, con la conoscenza, cioè, di coloro a cui si annuncia il Vangelo. Tale ascolto e conoscenza portano infatti a una valutazione più adeguata dei valori e disvalori presenti nella loro cultura alla luce del mistero pasquale di morte e di vita. Non basta qui la tolleranza, occorre la simpatia, il rispetto, per quanto possibile, dell’identità culturale degli interlocutori. Riconoscerne gli aspetti positivi e apprezzarli, perché preparano ad accogliere il Vangelo, è un preambolo necessario per l’esito dell’annuncio. Solo in questo modo nasce il dialogo, la comprensione e la fiducia. L’attenzione al Vangelo si fa così anche attenzione alle persone, alla loro dignità e libertà. Promuoverle nella loro integrità esige impegno di fraternità, solidarietà, servizio e giustizia. L’amore di Dio, in effetti, mentre dona all’uomo la verità e gli manifesta la sua altissima vocazione, promuove pure la sua dignità e fa nascere la comunità attorno all’annuncio accolto e interiorizzato, celebrato e vissuto[40].

La Chiesa del Concilio Ecumenico Vaticano II

37. Nella visione del Concilio Ecumenico Vaticano II, la Chiesa realizza il suo ministero pastorale, fondamentalmente, in tre modalità.

‑ In quanto comunione, essa dà valore alle legittime particolarità delle comunità cattoliche, coniugandole con l’universalità. L’unità della Pentecoste non abolisce infatti le diverse lingue e culture, ma le riconosce nella loro identità, pur aprendole all’alterità, attraverso l’amore universale operante in esse. L’unica Chiesa Cattolica è così costituita dalle e nelle Chiese particolari, così come le Chiese particolari sono costituite nella e dalla Chiesa universale (cfr. LG 13 )[41].

‑ In quanto missione, il ministero ecclesiale si dirige verso un altrove, per comunicare il proprio tesoro e arricchirsi di nuovi doni e valori. Tale missionarietà si svolge pure all’interno della stessa Chiesa particolare, poiché la missione è prima di tutto irradiamento della gloria di Dio, e la Chiesa ha bisogno di “sentir proclamare le grandi opere di Dio … e d’essere nuovamente convocata e riunita da Lui” (EN 15).

‑ In quanto Popolo e Famiglia di Dio, mistero, sacramento, Corpo mistico e tempio dello Spirito, la Chiesa si fa storia di un Popolo in cammino che, partendo dal mistero di Cristo e dalle vicende dei singoli e dei gruppi che la compongono, è chiamata a costruire una nuova storia, dono di Dio e frutto della libertà umana. Nella Chiesa anche i migranti sono convocati, dunque, ad esserne protagonisti con tutto il Popolo di Dio pellegrino sulla terra (cfr. RMi 32, 49 e 71).

38. Concretamente le scelte pastorali specifiche per la accoglienza dei migranti si possono così delineare:

‑ cura di un determinato gruppo etnico o rituale, tesa a promuovere un vero spirito cattolico (cfr. LG 13);

‑ necessità di salvaguardare universalità e unità che non può contrastare, al tempo stesso, con la pastorale specifica, la quale possibilmente affida i migranti a Presbiteri della loro lingua, della stessa Chiesa sui iuris, o a Presbiteri ad essi affini dal punto di vista linguistico-culturale (cfr. DPMC 11);

‑ grande importanza, dunque, della lingua materna dei migranti, attraverso la quale essi esprimono la mentalità, le forme di pensiero e di cultura ed i caratteri stessi della loro vita spirituale e delle tradizioni delle loro Chiese di origine (cfr. DPMC 11).

Tale pastorale specifica è collocata nel contesto del fenomeno migratorio il quale, mettendo in contatto fra loro persone di diversa nazionalità, etnia e religione, contribuisce a rendere visibile l’autentica fisionomia della Chiesa (cfr. GS 92) e valorizza la valenza ecumenica e dialogico-missionaria delle migrazioni[42]. E’ anche attraverso di esse, infatti, che si realizzerà tra le genti il disegno salvifico di Dio (cfr. Atti 11,19‑21)[43]. Per questo è necessario far crescere nei migranti la vita cristiana, conducendola fino alla maturità per mezzo di un apostolato “evangelizzatore” e “catechistico” (cfr. CD 13‑14 e DPMC 4).

Tale compito dialogico‑missionario è di tutti i membri del Corpo mistico, per cui i migranti stessi lo debbono realizzare nella triplice funzione di Cristo, Sacerdote, Re e Profeta. Bisognerà quindi edificare e far crescere in essi e con essi la Chiesa, per riscoprire, insieme, e rivelare i valori cristiani e per formare una autentica comunità sacramentale, di fede, di culto, di carità[44]e di speranza.

La particolare situazione in cui vengono a trovarsi i Cappellani/Missionari, nonché gli Operatori pastorali laici, in rapporto alla Gerarchia e al Clero locale, impone agli stessi una coscienza viva della necessità di svolgere il ministero in stretta unione col Vescovo diocesano, o col Gerarca, e con il suo Clero (cfr. CD 28-29; AA 10 e PO 7). La difficoltà e l’importanza del raggiungimento di certi obiettivi, sia sul piano comunitario che su quello individuale, stimoleranno infine i Cappellani/Missionari dei migranti a ricercare la più ampia e giusta collaborazione di Religiosi e Religiose (cfr. DPMC 52‑55) e di Laici (cfr. DPMC 56-61)[45].

Accoglienza e solidarietà

39. Le migrazioni costituiscono dunque un evento che tocca anche la dimensione religiosa dell’uomo e offrono ai migranti cattolici l’opportunità privilegiata, seppur spesso dolorosa, di giungere a un maggiore senso di appartenenza alla Chiesa universale, oltre ogni particolarità.

A tale scopo è importante che le comunità non ritengano esaurito il loro dovere verso i migranti compiendo semplicemente gesti di aiuto fraterno o anche sostenendo leggi settoriali che promuovano un loro dignitoso inserimento nella società, che rispetti l’identità legittima dello straniero. I cristiani devono, cioè, essere promotori di una vera e propria cultura dell’accoglienza (cfr. EEu 101 e 103), che sappia apprezzare i valori autenticamente umani degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà che comporta la convivenza con chi è diverso da noi (cfr. EEu 85, 112 e PaG 65).

40. Tutto questo i cristiani lo realizzeranno con una accoglienza veramente fraterna, rispondendo all’invito di S. Paolo: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio” (Rm 15,7)[46].

Certo, il semplice appello, per quanto altamente ispirato e accorato, non dà una automatica, concreta risposta a quanto ci assilla giorno per giorno; non elimina, ad esempio, una diffusa paura o l’insicurezza della gente, non assicura il doveroso rispetto della legalità e la salvaguardia della comunità di accoglienza. Ma lo spirito autenticamente cristiano darà stile e coraggio nell’affrontare questi problemi e suggerirà i modi concreti con cui, nella vita quotidiana delle nostre comunità cristiane, siamo chiamati a risolverli (cfr. EEu 85 e 111).

41. Per questo l’intera Chiesa del Paese di accoglienza deve sentirsi interessata e mobilitata nei confronti dei migranti. Nelle Chiese particolari va dunque ripensata e programmata la pastorale per aiutare i fedeli a vivere una fede autentica nel nuovo odierno contesto multiculturale e plurireligioso[47]. Con l’aiuto di Operatori sociali e pastorali, è così necessario far conoscere agli autoctoni i complessi problemi delle migrazioni e contrastare sospetti infondati e pregiudizi offensivi verso gli stranieri.

Nell’insegnamento della religione e nella catechesi si dovrà trovare il modo adeguato di creare nella coscienza cristiana il senso dell’accoglienza, specialmente dei più poveri ed emarginati, come spesso sono i migranti, un’accoglienza tutta fondata sull’amore a Cristo, certi che il bene fatto al prossimo, particolarmente al più bisognoso, per amore di Dio, è fatto a Lui stesso. Tale catechesi comunque non potrà non riferirsi ai gravi problemi che precedono e accompagnano il fenomeno migratorio, quali la questione demografica, il lavoro e le sue condizioni (fenomeno del lavoro nero), la cura dei molti anziani, la malavita, lo sfruttamento e il traffico e contrabbando di esseri umani.

42. Certo è utile e corretto distinguere, riguardo all’accoglienza, i concetti di assistenza in genere (o prima accoglienza, piuttosto limitata nel tempo), di accoglienza vera e propria (che riguarda piuttosto progetti a più largo termine) e di integrazione (obiettivo del lungo periodo, da perseguire costantemente e nel giusto senso della parola).

Gli Operatori pastorali che possiedono una specifica competenza in mediazioni culturali ‑Operatori di cui anche le nostre comunità cattoliche devono assicurarsi il servizio ‑ sono chiamati ad aiutare nel coniugare l’esigenza legittima di ordine, legalità e sicurezza sociale con la vocazione cristiana all’accoglienza e alla carità in concreto. Sarà importante anche far sì che tutti si rendano conto dei vantaggi, non solo economici, che ai Paesi industrializzati derivano dal regolato flusso migratorio e, nello stesso tempo, prendano coscienza sempre più del fatto che al bisogno di braccia corrispondono coloro che le hanno, persone, cioè uomini, donne e interi nuclei familiari con bambini e anziani.

43. Grande rimane comunque l’importanza degli interventi di assistenza o di “prima accoglienza” (pensiamo per es. alle “Case dei migranti” specialmente nei Paesi di transito verso quelli ricettori), in risposta alle emergenze che il movimento migratorio porta con sé: mensa, dormitorio, ambulatorio, aiuti economici, centri di ascolto. Pure importanti sono però gli interventi di “accoglienza vera e propria” finalizzati alla progressiva integrazione e auto-sufficienza dello straniero immigrato. Ricordiamo in particolare l’impegno per il ricongiungimento familiare, l’educazione dei figli, l’alloggio, il lavoro, l’associazionismo, la promozione dei diritti civili e le varie forme di partecipazione degli immigrati nella società di arrivo. Le associazioni religiose, socio‑caritative e culturali di ispirazione cristiana dovranno badare inoltre a coinvolgere gli immigrati nelle loro stesse strutture.

Liturgia e religiosità popolare

44. I fondamenti ecclesiologici della pastorale dei migranti aiuteranno anche nel tendere a una Liturgia più attenta alla dimensione storica e antropologica delle migrazioni, affinché la celebrazione liturgica diventi espressione viva di comunità di fedeli che camminano hic et nunc nelle vie della salvezza.

Si apre così la questione del rapporto della Liturgia con l’indole, la tradizione e il genio dei vari gruppi culturali e quella di saper rispondere a particolari situazioni sociali e culturali, nell’ambito di una pastorale che si faccia carico di una specifica formazione e animazione liturgica (cfr. SC 23), promuovendo anche una più larga partecipazione dei fedeli nella Chiesa particolare (cfr. EEu 69-72 e 78-80).

45. Pure per la scarsità delle loro forze, i Presbiteri dovranno poi valorizzare i Laici nei ministeri non ordinati. In tale prospettiva è da considerare la possibilità, nei luoghi in cui non ci siano Presbiteri disponibili, di riunire, anche nelle comunità di immigrati, le cosiddette assemblee domenicali senza Sacerdote (cfr. CIC can. 1248, §2), dove si prega, è proclamata la Parola e si distribuisce l’Eucarestia (cfr. PaG 37), sotto la guida di un Diacono oppure di un Laico a ciò legittimamente preposto[48]. La scarsità di Sacerdoti per i migranti, infatti, può essere in parte supplita proprio con l’affidare alcune funzioni di servizio in Parrocchia a Laici particolarmente preparati, conformemente al CIC (cfr. can. 228, §1; 230, §3 e 517, §2).

Del resto ci si atterrà alle norme generali già impartite dalla Santa Sede e ricordate nella Lettera Apostolica Dies Domini, che recita: “La Chiesa, considerando il caso di impossibilità della celebrazione eucaristica, raccomanda la convocazione di assemblee domenicali in assenza del sacerdote, secondo le indicazioni e le direttive date dalla Santa Sede e affidate, per la loro applicazione, alle Conferenze Episcopali”[49].

Contestualmente i Presbiteri procureranno di creare nel Popolo di Dio una maggior presa di coscienza della necessità, nella vita di ogni Chiesa particolare, di autentiche vocazioni al sacerdozio ministeriale e di promuovere, anche nell’ambiente dei migranti, una intensa pastorale vocazionale al ministero ordinato (cfr. EE 31-32 e PaG 53-54).

46. Un’attenzione particolare merita, poi, la religiosità popolare[50], poiché essa caratterizza molte comunità di migranti. Oltre a riconoscere che, “se è bene orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, la pietà popolare è ricca di valori” (EN 48), si dovrà tener presente, a questo riguardo, che per molti migranti essa è un elemento fondamentale di collegamento con la Chiesa di origine e con precisi modi di comprendere e di vivere la fede. Si tratta di attuare qui una profonda opera di evangelizzazione e di far altresì conoscere e apprezzare dalla locale comunità cattolica alcune forme di devozione dei migranti, affinché siano da essa comprese. Da questa unione di spirito potrà nascere anche una liturgia più partecipata, più integrata e spiritualmente più ricca.

Lo stesso si dica pure per quanto riguarda il collegamento con le varie Chiese Orientali Cattoliche. La Sacra Liturgia celebrata nel rito della propria Chiesa sui iuris, infatti, è importante perché salvaguarda l’identità spirituale dei migranti cattolici d’Oriente, come del resto l’uso delle loro lingue nelle sacre funzioni religiose[51] .

47. Per la particolare condizione di vita dei migranti, la pastorale deve altresì dare molto spazio, sempre in prospettiva liturgica, alla famiglia, intesa come “chiesa domestica”, alla preghiera in comune, ai gruppi biblici familiari, alle risonanze in famiglia dell’anno liturgico (cfr. EEu 78). Meritano una attenta considerazione pure le forme di benedizioni familiari proposte dal Rituale delle Benedizioni[52].

Inoltre si assiste, oggi, a un rinnovato impegno per coinvolgere le famiglie nella pastorale dei Sacramenti, la quale può dare nuova vitalità alle comunità cristiane. Molti giovani (cfr. PaG 53) e adulti riscoprono infatti, per questa via, il significato e il valore di itinerari che li aiutano a rinvigorire la loro fede e la vita cristiana.

48. Un particolare pericolo per la fede deriva peraltro dall’odierno pluralismo religioso, inteso come relativismo e sincretismo in fatto di religione. Per scongiurarlo è necessario approntare nuove iniziative pastorali che consentano di affrontare adeguatamente il fenomeno, che risulta essere uno dei più gravi problemi pastorali odierni assieme a quello del pullulare delle sette[53].

Migranti cattolici

49. In relazione ai migranti cattolici la Chiesa contempla una pastorale specifica, dettata dalla diversità di lingua, origine, cultura, etnia e tradizione, o da appartenenza ad una determinata Chiesa sui iuris, con proprio rito, che si frappongono spesso a un pieno e rapido inserimento dei migranti nelle parrocchie territoriali locali, o che sono da tener presenti in vista dell’erezione di Parrocchie o Gerarchia propria per i fedeli di determinate Chiese sui iuris. Ai tanti sradicamenti (dalla terra d’origine, dalla famiglia, dalla lingua, ecc.) a cui l’espatrio forzatamente sottopone, non si dovrebbe infatti aggiungere anche quello dal rito o dall’identità religiosa del migrante.

50. In presenza di gruppi particolarmente numerosi ed omogenei di immigrati, essi vanno quindi incoraggiati a mantenere la propria specifica tradizione cattolica. In particolare si dovrà cercare di procurare l’assistenza religiosa, in forma organizzata, da parte di sacerdoti della lingua e cultura e rito degli immigrati, con scelta della figura giuridica più confacente, tra quelle previste dal CIC e dal CCEO.

In ogni caso non sarà mai ribadita a sufficienza la necessità di una profonda comunione tra le Missioni linguistiche o rituali e le Parrocchie territoriali e sarà pure importante svolgere un’azione che tenda alla conoscenza reciproca, servendosi di tutte quelle occasioni offerte dalla cura pastorale ordinaria, per coinvolgere anche gli immigrati nella vita delle Parrocchie (cfr. EEu 28).

Qualora poi l’esiguità del loro numero non consentisse una specifica assistenza religiosa organizzata, la Chiesa particolare di arrivo dovrà aiutarli a superare i disagi dello sradicamento dalla comunità di origine e le gravi difficoltà dell’inserimento in quella di arrivo.

Nei centri di minore importanza numerica di immigrati si rivelerà comunque particolarmente preziosa una sistematica formazione catechistica e di animazione liturgica condotta da Operatori pastorali, Religiosi e Laici, in stretta collaborazione con il Cappellano/Missionario (cfr. EEu 51, 73 e PaG 51).

51. Varrà inoltre qui ricordare la necessità di una assistenza pastorale specifica anche nei riguardi di tecnici, professionisti e studenti esteri provvisoriamente insediati in Paesi a maggioranza musulmana o di altra religione. Abbandonati a se stessi e senza guida spirituale, anziché offrire una testimonianza cristiana, essi possono diventare, invece, causa di erronei giudizi nei confronti del Cristianesimo. Questo diciamo indipendentemente dal benefico influsso, negli stessi Paesi, di migliaia e migliaia di cristiani che vi danno buona testimonianza o del ritorno ai luoghi di origine, a minoranza cristiana, di antichi migranti di altra religione provenienti da zone intensamente cattoliche.

Migranti cattolici di rito orientale

52. I migranti cattolici di rito orientale, oggi sempre più numerosi, meritano una particolare attenzione pastorale. Ricordiamo anzitutto, a loro riguardo, l’obbligo giuridico di osservare dovunque ‑ quando sia possibile ‑ il proprio rito, inteso come patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare (cfr. CCEO can. 28, §l e PaG 72).

Di conseguenza “anche se affidati alla cura del Gerarca o del parroco di un’altra Chiesa sui iuris, rimangono tuttavia ascritti alla propria Chiesa sui iuris” (CCEO can. 38); anzi, l’usanza, pur a lungo protratta, di ricevere i sacramenti secondo il rito di un’altra Chiesa sui iuris, non comporta l’iscrizione alla medesima (CIC can. 112, §2). Vi è, infatti, divieto di “cambiare rito senza il consenso della Sede Apostolica” (CCEO can. 32 e CIC can. 112, §1).

I migranti cattolici orientali, poi, fermo restando il diritto e il dovere di osservare il proprio rito, hanno pure il diritto di partecipare attivamente alle celebrazioni liturgiche di qualunque Chiesa sui iuris, quindi anche della Chiesa Latina, secondo le prescrizioni dei libri liturgici (cfr. CCEO can. 403, §1).

La Gerarchia deve curare inoltre che coloro i quali hanno relazioni frequenti con fedeli di altro rito lo conoscano e venerino (cfr. CCEO can. 41) e vigilerà affinché nessuno si senta limitato nella sua libertà a motivo della lingua o del rito (cfr. CCEO can. 588).

53. Il Concilio Ecumenico Vaticano II (CD 23) in effetti stabilisce che: “Dove si trovano fedeli di diverso Rito, il Vescovo deve provvedere alle loro necessità, sia per mezzo di sacerdoti o parrocchie dello stesso Rito; sia per mezzo di un Vicario episcopale, munito delle necessarie facoltà e, se opportuno, insignito anche del carattere episcopale; sia da se stesso come Ordinario di diversi Riti”. Inoltre “il Vescovo può costituire uno o più Vicari Episcopali che, in forza del diritto … nei riguardi dei fedeli di un determinato Rito, godono dello stesso potere che il diritto comune attribuisce al Vicario Generale” (CD 27).

54. Conformemente al dettato conciliare, il CIC (can. 383, §2) stabilisce quindi che se il Vescovo diocesano “ha nella sua diocesi fedeli di rito diverso, provveda alle loro necessità spirituali sia mediante sacerdoti o parroci del medesimo rito, sia mediante un Vicario episcopale”. Questi, a norma del can. 476 del CIC, “ha la stessa potestà ordinaria che, per diritto universale … spetta al Vicario generale” anche in rapporto ai fedeli di un determinato rito. Il CIC, dopo aver enunciato il principio della territorialità della Parrocchia, stabilisce infatti che, “dove risulti opportuno, vengano costituite parrocchie personali, sulla base del rito” (can. 518).

55. Qualora così si proceda, tali Parrocchie faranno giuridicamente parte integrante della Diocesi latina, e i Parroci del medesimo rito saranno membri del Presbiterio diocesano del Vescovo latino. E’ da notare, tuttavia, che sebbene i fedeli, nell’ipotesi prevista dai suddetti canoni, si trovino nell’ambito della giurisdizione del Vescovo latino, è opportuno che questi, prima di istituire Parrocchie personali o designare un Presbitero come assistente o parroco, o addirittura Vicario episcopale, entri in dialogo sia con la Congregazione per le Chiese Orientali, sia con la rispettiva Gerarchia, e in particolare con il Patriarca.

Varrà qui ricordare infatti che il CCEO (can. 193, §3) prevede, quando i Vescovi eparchiali “costituiscono questo tipo di presbiteri, di parroci o sincelli per la cura dei fedeli cristiani delle Chiese patriarcali”, che essi “prendano contatto con i relativi Patriarchi e, se sono consenzienti, agiscano di propria autorità informandone al più presto la Sede Apostolica; se però i Patriarchi per qualunque ragione dissentano, la cosa venga deferita alla Sede Apostolica”[54]. Sebbene nel CIC manchi una espressa disposizione a questo proposito, per analogia essa dovrebbe però valere anche per i Vescovi diocesani latini.

Migranti di altre Chiese e Comunità ecclesiali

56. La presenza, sempre più numerosa, anche di immigrati cristiani non in piena comunione con la Chiesa Cattolica, offre alle Chiese particolari nuove possibilità di vivere la fraternità ecumenica nella concretezza della vita quotidiana e di realizzare, lontani da facili irenismi e dal proselitismo, una maggiore comprensione reciproca fra Chiese e Comunità ecclesiali. Si tratta di possedere quello spirito di carità apostolica che da una parte rispetta le coscienze altrui e riconosce i beni che vi trova, ma che può attendere anche il momento per diventare strumento di un incontro più profondo fra Cristo e il fratello. I fedeli cattolici non devono dimenticare infatti che è anche servizio e segno di grande amore, quello di accogliere i fratelli nella piena comunione con la Chiesa. In ogni caso “se sacerdoti, ministri o comunità che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica non hanno un luogo, né oggetti liturgici necessari per celebrare degnamente le loro cerimonie religiose, il Vescovo diocesano può loro permettere di usare una chiesa o un edificio cattolico e anche prestar loro gli oggetti necessari per il loro culto. In circostanze analoghe può essere loro consentito di fare funerali o di celebrare ufficiature in cimiteri cattolici”[55].

57. Da ricordare qui è poi la legittimità, in determinate circostanze, per i non cattolici, di ricevere l’Eucarestia assieme ai cattolici, secondo quanto afferma anche la recente Enciclica Ecclesia de Eucharistia. Infatti “Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucarestia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale. In tal senso si è mosso il Concilio Vaticano II, fissando il comportamento da tenere con gli Orientali che, trovandosi in buona fede separati dalla Chiesa cattolica, chiedono spontaneamente di ricevere l’Eucarestia dal ministro cattolico e sono ben disposti (cfr. OE 27). Questo modo di agire è stato poi ratificato da entrambi i Codici, nei quali è considerato anche, con gli opportuni adeguamenti, il caso degli altri cristiani non orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica (cfr. CIC can. 844, §§3‑4 e CCEO can. 671, §§3‑4)”[56].

58. Ad ogni modo si avrà un reciproco, particolare riguardo dei rispettivi ordinamenti, come raccomandato nel Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo: “I cattolici devono dar prova di un sincero rispetto per la disciplina liturgica e sacramentale delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, e queste … sono invitate a mostrare lo stesso rispetto per la disciplina cattolica”[57].

Tali disposizioni e l'”ecumenismo della vita quotidiana” (PaG 64), nel caso dei migranti, non mancheranno di avere benefici effetti. Momenti salienti d’impegno ecumenico potranno essere, in ogni caso, le grandi feste liturgiche delle differenti Confessioni, le tradizionali Giornate mondiali della pace, del migrante e del rifugiato e la Settimana annuale di preghiera per l’unità dei cristiani.

Migranti di altre religioni, in genere

59. In questi ultimi tempi è andata sempre più rafforzandosi, in Paesi di antica tradizione cristiana, la presenza di immigrati di altre religioni, nei confronti dei quali fanno da sicuro orientamento vari pronunciamenti magisteriali e particolarmente la Enciclica Redemptoris Missio[58], nonché l’Istruzione Dialogo e Annuncio[59].

Anche per gli immigrati non cristiani la Chiesa si impegna nella promozione umana e nella testimonianza della carità, che ha già di per sé un valore evangelizzatore, atto ad aprire i cuori all’annuncio esplicito del Vangelo, fatto con la dovuta cristiana prudenza e totale rispetto della libertà. I migranti di diversa religione vanno sostenuti, comunque, per quanto possibile, affinché conservino la dimensione trascendente della vita.

La Chiesa è dunque chiamata a entrare in dialogo con essi, “dialogo [che] deve essere condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza” (RMi 55; cfr. anche PaG 68).

60. Questo esige che le comunità cattoliche di accoglienza apprezzino ancora di più la loro identità, verifichino la loro fedeltà a Cristo, conoscano bene i contenuti della fede, riscoprano la missionarietà e quindi si impegnino nella testimonianza a Gesù, il Signore, e al suo Vangelo. Ciò è dunque presupposto necessario per una disponibilità al dialogo sincero, aperto e rispettoso con tutti, che non sia peraltro né ingenuo, né sprovveduto (cfr. PaG 64 e 68).

E’ compito dei cristiani, in modo particolare, aiutare gli immigrati a inserirsi nel tessuto sociale e culturale del Paese che li ospita, accettandone le leggi civili (cfr. PaG 72). Soprattutto con la testimonianza della vita i cristiani sono comunque chiamati a denunciare certi disvalori presenti nei Paesi industrializzati e ricchi (materialismo e consumismo, relativismo morale e indifferentismo religioso), che potrebbero scuotere le convinzioni religiose degli immigrati.

Auspichiamo anzi che tale impegno nei confronti dei migranti non sia condotto solo da singoli cristiani, o dalle tradizionali Organizzazioni di aiuto e soccorso, ma venga inscritto anche nel complessivo programma di Movimenti ecclesiali e Associazioni laicali (cfr. CfL 29).

Quattro attenzioni particolari

61. Ad evitare comunque fraintendimenti e confusioni, considerate le diversità religiose che reciprocamente riconosciamo, per rispetto ai propri luoghi sacri e anche alla religione dell’altro, non riteniamo opportuno che quelli cattolici ‑ chiese, cappelle, luoghi di culto, locali riservati alle attività specifiche della evangelizzazione e della pastorale ‑ siano messi a disposizione di appartenenti a religioni non cristiane, né tanto meno che essi siano usati per ottenere accoglienza di rivendicazioni rivolte alle Autorità Pubbliche. Gli spazi di tipo sociale, invece, – quelli per il tempo libero, il gioco ed altri momenti di socializzazione – potrebbero e dovrebbero rimanere aperti a persone di altre religioni, nel rispetto delle regole seguite in tali spazi. La socializzazione che ivi avviene sarebbe in effetti un’occasione per favorire l’integrazione dei nuovi arrivati e preparare mediatori culturali capaci di favorire il superamento delle barriere culturali e religiose promuovendo una adeguata conoscenza reciproca.

62. Le scuole cattoliche (cfr. EEu 59 e PaG 52), poi, non devono rinunciare alle loro caratteristiche peculiari e al proprio progetto educativo, cristianamente orientato, quando vengono in esse accolti figli di migranti di altre religioni [60]. Di questo andranno chiaramente informati i genitori che volessero iscrivervi i propri figli. Al tempo stesso nessun bambino dovrà essere obbligato a partecipare a Liturgie cattoliche o a compiere gesti contrari alle proprie convinzioni religiose.

Inoltre le ore di religione previste dal programma, se effettuate con carattere scolastico, potrebbero liberamente servire agli alunni per conoscere una credenza diversa dalla loro. In queste ore si dovrà comunque educare tutti al rispetto ‑ senza relativismi ‑ delle persone di altra convinzione religiosa.

63. Per quanto riguarda poi il matrimonio fra cattolici e migranti non cristiani lo si dovrà sconsigliare, pur con variata intensità, secondo la religione di ciascuno, con eccezione in casi speciali, secondo le norme del CIC e del CCEO. Bisognerà infatti ricordare, con le parole di Papa Giovanni Paolo II, che: “Nelle famiglie in cui ambedue i coniugi sono cattolici, è più facile che essi condividano la propria fede con i figli. Pur riconoscendo con gratitudine quei matrimoni misti che hanno successo nel nutrire la fede sia degli sposi sia dei figli, il Sinodo incoraggia gli sforzi pastorali volti a promuovere matrimoni tra persone della stessa fede”[61].

64. Nelle relazioni tra cristiani e aderenti ad altre religioni riveste infine grande importanza il principio della reciprocità, intesa non come un atteggiamento puramente rivendicativo, ma quale relazione fondata sul rispetto reciproco e sulla giustizia nei trattamenti giuridico‑religiosi. La reciprocità è anche un atteggiamento del cuore e dello spirito, che ci rende capaci di vivere insieme e ovunque in parità di diritti e di doveri. Una sana reciprocità spinge ciascuno a diventare “avvocato” dei diritti delle minoranze dove la propria comunità religiosa è maggioritaria. Si pensi in questo caso anche ai numerosi migranti cristiani in Paesi con maggioranza non cristiana della popolazione, dove il diritto alla libertà religiosa è fortemente ristretto o conculcato.

Migranti musulmani

65. A questo proposito emerge oggi, specialmente in alcuni Paesi, in percentuali elevate o in aumento, la presenza di immigrati musulmani, verso i quali questo Pontificio Consiglio porta pure la sua sollecitudine.

Il Concilio Vaticano II, a tale riguardo, indica l’atteggiamento evangelico da assumere e invita a purificare la memoria dalle incomprensioni del passato, a coltivare i valori comuni e a chiarire e rispettare le diversità, senza rinuncia dei principi cristiani[62]. Le comunità cattoliche sono dunque invitate al discernimento. Si tratta di distinguere, nelle dottrine e pratiche religiose e nelle leggi morali dell’Islam, ciò che è condivisibile da quello che non lo è.

66. La credenza in Dio, Creatore e Misericordioso, la preghiera quotidiana, il digiuno, l’elemosina, il pellegrinaggio, l’ascesi per il dominio delle passioni, la lotta all’ingiustizia e all’oppressione, sono valori comuni, presenti anche nel Cristianesimo, peraltro con espressioni o manifestazioni diverse. Accanto a queste convergenze, ci sono anche delle divergenze, alcune delle quali riguardano le acquisizioni legittime della modernità. Tenendo in considerazione specialmente i diritti umani, auspichiamo perciò che avvenga, da parte dei nostri fratelli e sorelle musulmani, una crescente presa di coscienza che è imprescindibile l’esercizio delle libertà fondamentali, dei diritti inviolabili della persona, della pari dignità della donna e dell’uomo, del principio democratico nel governo della società e della sana laicità dello Stato. Si dovrà altresì raggiungere un’armonia tra visione di fede e giusta autonomia del creato[63].

67. In caso poi di richiesta di matrimonio di una donna cattolica con un musulmano – fermo restando quanto è espresso al numero 63, pur tenendo presenti i giudizi pastorali locali -, per il frutto anche di amare esperienze, si dovrà fare una preparazione particolarmente accurata e approfondita durante la quale i fidanzati saranno condotti a conoscere e ad “assumere” con consapevolezza le profonde diversità culturali e religiose da affrontare, sia tra di loro, sia in rapporto alle famiglie e all’ambiente di origine della parte musulmana, a cui eventualmente si farà ritorno dopo una permanenza all’estero.

In caso di trascrizione del matrimonio presso un Consolato dello Stato di provenienza islamico, la parte cattolica dovrà però guardarsi dal pronunciare o dal firmare documenti contenenti la shahada (professione di credenza musulmana).

I matrimoni tra cattolici e musulmani, avranno comunque bisogno, se celebrati nonostante tutto, oltreché della dispensa canonica, del sostegno della comunità cattolica, prima e dopo il matrimonio. Uno dei servizi importanti dell’associazionismo, del volontariato e dei consultori cattolici, sarà quindi l’aiuto a queste famiglie nell’educazione dei figli ed eventualmente il sostegno verso la parte meno tutelata della famiglia musulmana, cioè la donna, nel conoscere e perseguire i propri diritti.

68. Per il battesimo dei figli, infine, le norme delle due religioni sono ‑ come si sa ‑ fortemente in contrasto. Il problema va posto quindi con grande chiarezza durante la preparazione al matrimonio e la parte cattolica dovrà impegnarsi su quanto la Chiesa richiede.

La conversione e la richiesta del Battesimo di musulmani adulti esigono pure una ponderata attenzione, sia per la natura particolare della religione musulmana che per le conseguenze che ne derivano.

Il dialogo inter-religioso

69. Le società odierne, religiosamente sempre più composite, anche a causa dei flussi migratori, richiedono dunque ai cattolici una convinta disponibilità al vero dialogo interreligioso (cfr. PaG 68). A tale scopo, nelle Chiese particolari, dovrà essere assicurata ai fedeli e agli stessi Operatori pastorali una solida formazione e informazione circa le altre religioni, per sconfiggere pregiudizi, per superare il relativismo religioso e per evitare chiusure e paure ingiustificate, che frenano il dialogo ed erigono barriere, provocando anche violenza o incomprensioni. Le Chiese locali avranno cura di inserire tale formazione nei programmi educativi dei Seminari e delle scuole e Parrocchie.

Il dialogo tra le religioni non deve però essere inteso soltanto come ricerca di punti comuni per insieme costruire la pace, ma soprattutto come occasione per recuperare le dimensioni comuni all’interno delle rispettive comunità. Ci riferiamo alla preghiera, al digiuno, alla vocazione fondamentale dell’uomo, all’apertura al Trascendente, all’adorazione di Dio, alla solidarietà tra le Nazioni[64].

Tuttavia, deve restare per noi irrinunciabile l’annuncio, esplicito o implicito, secondo le circostanze, della salvezza in Cristo, unico mediatore fra Dio e gli uomini, al quale tende tutta l’opera della Chiesa, in modo tale che né il dialogo fraterno né lo scambio e la condivisione di valori “umani” possano sminuire l’impegno ecclesiale di evangelizzazione (cfr. RMi 10-11 e PaG 30).

PARTE III

Operatori di una pastorale di comunione

Nelle Chiese di partenza e di arrivo

70. Affinché la pastorale dei migranti sia di comunione (che nasce cioè dall’ecclesiologia di comunione e tende alla spiritualità di comunione) è indispensabile che tra le Chiese di partenza e quelle di arrivo delle correnti migratorie si instauri una intensa collaborazione, che nasca in primo luogo dall’informazione reciproca su quanto è di comune interesse pastorale. Non è pensabile, infatti, che esse non dialoghino e non si confrontino sistematicamente, anche grazie a incontri periodici, sui problemi che interessano migliaia di migranti. Per un maggior coordinamento, poi, di tutte le attività pastorali in favore degli immigrati, le Conferenze Episcopali lo affideranno ad una apposita Commissione, con nomina poi di un Direttore Nazionale, che animerà le corrispondenti Commissioni diocesane. Nell’impossibilità di costituire tale Commissione il coordinamento della cura pastorale per gli immigrati sarà affidato almeno ad un Vescovo Incaricato o Promotore. Così si attesterà che l’assistenza spirituale di chi è lontano dalla Patria è un impegno squisitamente ecclesiale, un compito pastorale che non può essere affidato solo alla generosità di singoli, Presbiteri, Religiosi/e o Laici, ma va sostenuto dalle Chiese locali, anche materialmente (cfr. PaG 45).

71. Le Conferenze Episcopali avranno cura altresì di affidare alle Facoltà Universitarie cattoliche nei loro territori il compito di approfondire i diversi aspetti delle migrazioni stesse, a beneficio del servizio pastorale concreto per i migranti. Si potranno programmare al riguardo anche corsi obbligatori di specializzazione teologica.

Pure nei Seminari non potrà mancare una formazione che tenga in conto il fenomeno migratorio, ormai planetario. Così “le università e i seminari, pur nella libera scelta dell’impostazione programmatica e metodologica, offriranno la conoscenza dei temi fondamentali, come le diverse forme migratorie (definitive o stagionali, internazionali e interne), le cause dei movimenti, le conseguenze, le grandi linee di una azione pastorale adeguata, lo studio dei documenti pontifici e delle Chiese particolari”[65].

In ogni caso i “Quaderni universitari” del Pontificio Consiglio [allora Pontificia Commissione] della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, insieme alla rivista [People] on the move, oltre che le pubblicazioni dei documenti magisteriali sull’argomento, potranno costituire, almeno inizialmente, validi sussidi nell’insegnamento della tematica migratoria”[66].

L’Esortazione Apostolica postsinodale Pastores dabo vobis espressamente, poi, richiama che le esperienze pastorali dei Seminaristi dovranno essere orientate anche verso i nomadi e i migranti[67].

72. Pure la celebrazione annuale della Giornata (o Settimana) mondiale del Migrante e del Rifugiato sarà occasione di un impegno ognor più pressante, e di attenzione zelante al tema specifico proposto ogni anno dal Sommo Pastore in un apposito Messaggio. Questo Pontificio Consiglio propone che essa sia celebrata universalmente in un’unica data fissa, e ciò per aiutare a vivere insieme, davanti a Dio ‑ anche nello stesso lasso temporale – un giorno di preghiera, azione e sacrificio per la causa del Migrante e del Rifugiato.

Importanza significativa potrà assumere, oltre l’anzidetta Giornata, un incontro annuale del Vescovo/Eparca, possibilmente in Cattedrale, con l’insieme dei gruppi etnici presenti nella Diocesi/Eparchia. In qualche luogo l’avvenimento, che già si celebra, è chiamato “festa dei popoli”.

Il Coordinatore nazionale dei Cappellani/Missionari

73. Fra gli Operatori pastorali al servizio dei migranti è di rilievo il ruolo del Coordinatore nazionale, il quale è costituito più come aiuto per i Cappellani/Missionari di una certa lingua o Paese che per i migranti stessi, ed è altresì espressione piuttosto della Chiesa ad quam in favore dei Cappellani/Missionari stessi, pur senza essere considerato loro rappresentante. Egli è a servizio, cioè, dei Cappellani/Missionari che ricevono la “dichiarazione di idoneità” ‑ cioè il Rescritto dato dalla Conferenza Episcopale a qua (cfr. DPMC 36, 2) ‑ nei Paesi con gran numero di migranti provenienti da una data Nazione.

74. Verso i Cappellani/Missionari il Coordinatore nazionale svolge funzioni di fraterna vigilanza, di moderazione e di collegamento fra le varie comunità. Egli non ha competenza diretta, invece, sui migranti che, in ragione del domicilio o del quasi domicilio, sono soggetti alla giurisdizione degli Ordinari/Gerarchi delle Chiese particolari o delle Eparchie. Non ha nemmeno potestà di giurisdizione sui Cappellani/Missionari, i quali sottostanno, per quanto riguarda l’esercizio del ministero, all’Ordinario/Gerarca del luogo, dal quale ricevono le relative facoltà. Il Coordinatore nazionale dovrà dunque operare in stretto contatto con i Direttori nazionali e diocesani della pastorale per i migranti.

Il Cappellano/Missionario dei migranti

75. Sullo spunto di precedenti documenti ecclesiali[68] a tale riguardo, desideriamo qui anzitutto sottolineare la necessità di una particolare preparazione alla specifica pastorale dei migranti (cfr. PaG 72),che comporta una autentica dimensione missionaria, ed ha un fine eminentemente spirituale. Tale preparazione è svolta in comunione con e sotto la responsabilità anche dell’Ordinario/Gerarca locale del Paese di partenza.

76. In tale contesto, va detto che “la complessità e la frequente evoluzione che si registra nei fenomeni del movimento migratorio rende necessaria, per orientamento della pastorale, l’opera di istituzioni complementari, destinate a seguire tali fenomeni e a darne oggettive valutazioni. Si tratta di centri pastorali per gruppi etnici, ma soprattutto di centri di studio interdisciplinari, che raggruppino, cioè, le materie necessarie all’elaborazione e all’attuazione della Pastorale” (CMU 40). Queste ricerche dovrebbero anche poter orientare gli studi seminaristici o quelli negli Istituti di formazione, nei Centri pastorali, ed essere direttamente utilizzate appunto nella preparazione degli Operatori della pastorale migratoria.

77. Essere Cappellano/Missionario dei migranti eiusdem sermonis (della stessa lingua) non significa comunque rimanere prigioniero nei limiti di un unico, esclusivo, nazionale, modo di vivere ed esprimere la fede. Se da una parte si deve infatti sottolineare il bisogno di una pastorale specifica, basata sulla necessità di trasmettere il messaggio cristiano usando un veicolo culturale che risponda alla formazione e alla giusta esigenza del destinatario, dall’altra è importante anche riaffermare che tale pastorale specifica esige una apertura ad un mondo nuovo e uno sforzo di inserimento in esso, fino a giungere alla partecipazione piena dei migranti alla vita diocesana.

Il Cappellano/Missionario in questo cammino dovrà essere l’uomo‑ponte, che mette in comunicazione la comunità dei migranti con quella di accoglienza. Egli è con loro per fare Chiesa, in comunione anzitutto con il Vescovo diocesano/eparchiale e con i confratelli nel sacerdozio, particolarmente con i Parroci che hanno la stessa cura pastorale (cfr. DPMC 30,3). Per questo è necessario che egli conosca e apprezzi la cultura del luogo dove è chiamato a svolgere il suo ministero, ne pratichi la lingua, sappia dialogare con la società in cui vive e faccia stimare e rispettare il Paese ospitante, fino a giungere ad amarlo e difenderlo. Il Cappellano/Missionario dei migranti, dunque, se anche basa la sua pastorale considerando l’aspetto etnico o linguistico, sa bene che la cura per i migranti deve tradursi pure in costruzione di una Chiesa che abbia l’anelito ecumenico e missionario (cfr. RMi 10-11; DPMC 30,2).

78. I responsabili della pastorale delle migrazioni dovranno perciò essere più o meno esperti in comunicazione interculturale, mentre tale caratteristica concerne anche i responsabili locali della pastorale, poiché quanti giungono dall’estero non possono realizzare da soli tale mediazione culturale.

Compiti principali dell’Operatore pastorale delle migrazioni saranno dunque, soprattutto:

‑ la tutela dell’identità etnica, culturale, linguistica e rituale del migrante, essendo per lui impensabile una azione pastorale efficace che non rispetti e valorizzi il patrimonio culturale dei migranti, che deve naturalmente entrare in dialogo con la Chiesa e la cultura locale per rispondere alle nuove esigenze;

‑ la guida nel percorso di giusta integrazione che evita il ghetto culturale e combatte, al tempo stesso, la pura e semplice assimilazione dei migranti nella cultura locale;

‑ l’incarnazione di uno spirito missionario ed evangelizzatore nella condivisione delle situazioni e condizioni dei migranti, con capacità di adattamento e di contatti personali in una atmosfera di chiara testimonianza di vita.

Presbiteri diocesani/eparchiali come Cappellani/Missionari

79. I Cappellani/Missionari possono essere Presbiteri diocesani/eparchiali (che rimangono solitamente incardinati nella propria Diocesi/Eparchia e si recano all’estero per svolgere temporaneamente la cura a favore dei migranti) oppure Presbiteri religiosi. Entrambi, sia il diocesano/eparchiale che il religioso, assumono però una stessa missione, sia pure con originarie, diverse e complementari vocazioni.

I Presbiteri diocesani/eparchiali, con esercizio della cura pastorale nella Diocesi/Eparchia di non incardinazione, vengono integrati di fatto in essa, sicché fanno parte a pieno titolo del Presbiterio diocesano/eparchiale[69], situazione del resto che è pure quella del Religioso. Non si sottolineerà quindi mai abbastanza la necessità che i Cappellani/Missionari rimangano uniti in fraterna concordia, oltre che con l’Ordinario/Gerarca locale, anche con il Clero della Diocesi/Eparchia che li accoglie, soprattutto con i Parroci. Potrà aiutare a tal fine la partecipazione agli incontri sacerdotali e ai convegni diocesani/eparchiali, con assidua frequenza altresì alle riunioni di studio in materia sociale, morale, liturgica e pastorale, condizione sine qua non per attuare una autentica pastorale in mutua collaborazione, solidarietà e corresponsabilità (cfr. DPMC 42). L’unità dovrà essere anche operativa, per renderla cioè effettiva pure tra migranti e autoctoni. Tale solidarietà di intenzioni e di opere offrirà così un ottimo esempio di adattamento e di collaborazione e si realizzerà allora la mutua conoscenza e il rispetto del patrimonio culturale di ciascuno.

Presbiteri e Fratelli religiosi e Religiose con impegno fra i migranti

80. Nella pastorale dei migranti, i Presbiteri e i Fratelli religiosi e le Religiose hanno sempre avuto un ruolo primario, per cui la Chiesa ha fatto, e continua a fare, grande affidamento sul loro apporto. A questo riguardo la comunità cattolica riconosce la vocazione religiosa come dono particolare dello Spirito, che la Chiesa accoglie, conserva, interpreta, per farlo crescere e sviluppare secondo il dinamismo suo proprio[70]. Quello stesso Spirito ha poi suscitato, nel corso della storia, anche Istituti che hanno come fine specifico l’apostolato a favore dei migranti[71], con loro propria organizzazione.

Ci pare doveroso ricordare, in proposito, l’apostolato delle Religiose molto spesso impegnate nella pastorale tra gli immigrati, con carismi e opere specifiche e di grande importanza pastorale, in particolare tenendo presente quanto afferma l’Esortazione Apostolica postsinodale Vita consecrata, vale a dire: “Anche il futuro della nuova evangelizzazione, come del resto di tutte le altre forme di azione missionaria, è impensabile senza un rinnovato contributo delle donne, specialmente delle donne consacrate” (n. 57). E ancora: “E’ pertanto urgente compiere alcuni passi concreti, a partire dall’apertura alle donne di spazi di partecipazione in vari settori e a tutti i livelli, anche nei processi di elaborazione delle decisioni, soprattutto in ciò che le riguarda”[72].

81. Oltre a quelli così menzionati, anche altri Istituti religiosi, pur non avendo tale fine specifico, sono cordialmente invitati ad assumere parte di questa responsabilità. Infatti “sarà sempre opportuno e lodevole che essi si dedichino alla cura spirituale di questa categoria di fedeli, attendendo specialmente a quelle opere che rispondono meglio alla loro particolare indole e finalità” (DPMC 53,2). E’ l’applicazione concreta di una direttiva conciliare, poiché “in vista delle urgenti necessità delle anime e della scarsità del clero diocesano, gli Istituti religiosi, che non siano esclusivamente addetti alla vita contemplativa, possono essere chiamati dai Vescovi ad offrire la loro collaborazione nei vari ministeri pastorali, tenute tuttavia presenti le caratteristiche di ciascun Istituto. I superiori religiosi, per quanto possono, stimolino a tale collaborazione, accettando anche, sia pure temporaneamente, il governo di parrocchie” (CD 35).

82. Se tutti gli Istituti religiosi sono dunque invitati a tener presente il fenomeno della mobilità umana nella loro pastorale, essi debbono pure considerare con generosità la possibilità di destinare alcuni religiosi o religiose per l’impegno nel campo delle migrazioni. Molti infatti sono in grado di dare un notevole contributo nell’assistenza ai migranti perché dispongono di religiosi con formazione diversificata, provenienti da varie Nazioni, che possono, con relativa facilità, trasferirsi in quelle non loro.

E’ particolarmente nel campo delle migrazioni che per noi emergerebbe il ruolo attribuito ai religiosi dall’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi. Infatti “con la loro vita sono il segno della totale disponibilità verso Dio, verso la Chiesa, verso i fratelli. In questo essi rivestono un’importanza speciale nel contesto di una testimonianza che … è primordiale nella evangelizzazione. Questa silenziosa testimonianza di povertà e di distacco, di purezza e di trasparenza, di abbandono nell’ubbidienza, può diventare, oltre che una provocazione al mondo e alla Chiesa stessa, anche una predicazione eloquente, capace di impressionare anche i non cristiani di buona volontà, sensibili a certi valori” (EN 69).

83. L’Istruzione congiunta, del 25 marzo 1987, relativa all’impegno pastorale per i migranti e rifugiati, pubblicata dalla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari e dalla Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, diretta a tutti i Superiori e le Superiore generali, sottolinea proprio questa esigenza di attenzione pastorale. L’appello ai Religiosi ad un particolare impegno nei confronti dei migranti e rifugiati trova infatti motivazioni profonde in una sorta di corrispondenza fra le attese intime di questi sradicati dalla loro terra e la vita religiosa; sono le attese spesso inespresse di poveri senza prospettiva di sicurezza, di emarginati sovente mortificati nel loro anelito di fratellanza e di comunione. Offerta da chi volontariamente ha scelto di vivere povero, casto e obbediente, la solidarietà verso di loro, oltre che sostegno nella difficile condizione, costituisce anche una testimonianza di valori capaci di accendere la speranza in situazioni tanto tristi (cfr. n. 8). Si trova qui dunque un sollecito invito a tutti gli Istituti di vita consacrata e alle Società di vita apostolica ad allargare generosamente i confini del proprio impegno, in una vera e propria dimensione missionaria, che dovrebbe essere considerata specialmente dalle Congregazioni religiose con specifico fine missionario[73] .

84. Certo molti Istituti religiosi sono sempre più coscienti oggi che il problema migratorio interpella, più o meno direttamente, il loro carisma. Ma affinché tale disposizione di spirito e le sollecitazioni del Magistero si traducano in un impegno concreto, desideriamo qui suggerire ai Superiori e alle Superiore generali di dare generosa collaborazione agli Operatori pastorali nel campo dei migranti e rifugiati, destinando cioè alcuni Religiosi all’impegno in questo settore, con la solidarietà e collaborazione di tutta la comunità religiosa, mettendo magari a disposizione, con questo intento, in forma stabile o periodica, un qualche locale negli edifici del proprio Istituto rimasto eventualmente inutilizzato.

Nelle loro Lettere circolari ai confratelli o alle consorelle e negli incontri diano poi rilievo, i Superiori, di tanto in tanto, all’urgenza del problema dei migranti e dei rifugiati, richiamando l’attenzione sui relativi documenti della Chiesa e sulla parola del Sommo Pontefice. A questo proposito si potrà aver cura di introdurre altresì questo argomento in occasione dei Capitoli generali e provinciali e nei corsi di aggiornamento e formazione permanente. Anche i futuri Presbiteri dovranno almeno intravedere la possibilità di prepararsi a svolgere il loro ministero, o parte di esso, tra i migranti[74].

85. Per quanto riguarda poi la concreta vita dei Religiosi e delle Religiose impegnati nel servizio dei migranti, è utile sottolineare, come criterio fondamentale, la necessità che la vita religiosa sia tutelata e valorizzata nella sua ispirazione e nelle sue forme particolari. Essa è in se stessa immagine della perfetta carità, un carisma le cui ricchezze tornano a beneficio dell’intera comunità. La pastorale per i migranti ha bisogno certamente di comunità religiose, ma è necessario pure che esse siano in condizione di vivere e di operare nell’osservanza e nell’adesione alle loro norme costitutive. E’ quanto si sottolinea in Mutuae Relationes: “In quest’epoca di evoluzione culturale e di rinnovamento ecclesiale, è necessario che l’identità di ogni Istituto sia conservata con tale sicurezza, che si possa evitare il pericolo di una situazione non sufficientemente definita, per cui i religiosi, senza la dovuta considerazione del particolare stile di azione proprio della loro indole, vengano inseriti nella vita della Chiesa in modo vago e ambiguo” (MR 11).

Laici, Associazioni laicali e Movimenti ecclesiali: per un impegno fra i migranti

86. Nella Chiesa e nella società i Laici,le Associazioni laicali e i Movimenti ecclesiali, sebbene nella diversità di carismi e di ministeri, sono pure chiamati a realizzare l’impegno di testimonianza cristiana e di servizio anche presso i migranti[75]. Pensiamo in modo particolare ai collaboratori pastorali e ai catechisti, agli animatori di gruppi di giovani o di adulti, del mondo del lavoro e del servizio sociale o di quello caritativo (cfr. PaG 51).

In una Chiesa che si sforza di essere interamente missionaria‑ministeriale, sospinta dallo Spirito, è qui il rispetto dei doni di tutti che va messo in rilievo. A questo riguardo i fedeli laici occupano spazi di giusta autonomia, ma assumono anche tipiche incombenze di Diaconia, come nella visita ai malati, nel sostegno agli anziani, nella conduzione di gruppi giovanili e nell’animazione di associazioni familiari, nell’impegno per la catechesi e nei corsi di qualificazione professionale, nella scuola e in compiti amministrativi e, ancora, nel servizio liturgico e nei centri di ascolto, negli incontri di preghiera e di meditazione della Parola di Dio.

87. Altri e più specifici impegni di intervento da parte dei Laici possono essere il sindacato e l’ambito del lavoro, il consiglio e l’opera nell’elaborazione di leggi intese a facilitare il ricongiungimento familiare dei migranti e la parità di diritti e opportunità. Ciò riguarda l’accesso ai beni essenziali, al lavoro e salario, alla casa e alla scuola e la partecipazione del migrante alla vita della comunità civile (elezioni, associazioni, attività ricreative, ecc.).

In campo ecclesiale, poi, si potrebbe più specificamente vagliare la possibilità di istituire un apposito ministero (non ordinato) dell’accoglienza, con il compito di avvicinare i migranti e i rifugiati e di introdurli progressivamente nella comunità, civile ed ecclesiale, o di aiutarli in vista di un eventuale ritorno in Patria. Una particolare attenzione si riserverà in questo contesto agli studenti esteri.

88. Si impone, in proposito, anche per i Laici una formazione sistematica (cfr. PaG 51), intesa non tanto come semplice trasmissione di idee e di concetti, ma soprattutto come aiuto, anche intellettuale naturalmente, in vista di una autentica testimonianza di vita cristiana. E pure le comunità etnico-linguistiche sono chiamate a diventare educatrici, prima ancora di essere centri organizzativi, e in questo crescere di visione sarà dato spazio ad una formazione permanente e sistematica.

La testimonianza cristiana dei Laici nella costruzione del Regno di Dio, è certo al vertice di un insieme di importanti questioni quali, fra le altre, le relazioni Chiesa‑mondo, fede‑vita e carità-giustizia.

PARTE IV

Strutture di pastorale missionaria

Unità nella pluralità: problematica

89. Sono molti i motivi che esigono una sempre più profonda integrazione della cura specifica dei migranti nella pastorale delle Chiese particolari (cfr. DPMC 42), di cui il primo responsabile è il Vescovo diocesano/eparchiale, ma nel pieno rispetto della loro diversità e del loro patrimonio spirituale e culturale, superando il limite della uniformità (cfr. PaG 65 e 72) e distinguendo il carattere territoriale della cura d’anime da quello dell’appartenenza etnica, linguistica, culturale e di rito.

In tale contesto le Chiese di accoglienza sono chiamate ad integrare la realtà concreta delle persone e dei gruppi che le compongono, mettendo in comunione i valori di ciascuno, convocati tutti a formare una Chiesa concretamente cattolica. “Si realizza così nella Chiesa locale l’unità nella pluralità, cioè quell’unità che non è uniformità, ma armonia nella quale tutte le legittime diversità sono assunte nella comune tensione unitaria” (CMU 19).

In tal modo la Chiesa particolare contribuirà alla fondazione, nello Spirito della Pentecoste, di una nuova società nella quale le diverse lingue e culture non costituiranno più confini insuperabili, come dopo Babele, ma in cui, proprio in tale diversità, è possibile realizzare un nuovo modo di comunicazione e di comunione (cfr. PaG 65).

In questa realtà la pastorale dei migranti diventa un servizio ecclesiale per i fedeli di lingua o cultura diverse da quelle del Paese di accoglienza e al tempo stesso assicura un apporto specifico delle collettività straniere alla costruzione di una Chiesa che sia segno e strumento di unità in vista di una umanità rinnovata. E’, questa, una visione che deve essere approfondita e assimilata anche per evitare possibili tensioni tra Parrocchie autoctone e Cappellanie per gli immigrati, tra Presbiteri autoctoni e Cappellani/Missionari. In questo contesto va considerata pure la classica distinzione tra prima, seconda e terza generazione di migranti, ciascuna con le sue caratteristiche e i suoi problemi specifici.

90. Sono soprattutto due i livelli sui quali oggi si pone il problema dell’inserimento ecclesiale dei migranti: quello diremmo canonico‑strutturale e quello teologico‑pastorale.

Il carattere planetario, che ha ora il fenomeno della mobilità umana, comporta certo il superamento, a lungo andare, di una pastorale generalmente mono‑etnica, che ha caratterizzato finora sia le Cappellanie/Missioni straniere che le parrocchie territoriali dei Paesi di accoglienza, e ciò in vista di una pastorale impostata sul dialogo e su una costante, mutua collaborazione.

Per ciò che concerne le Cappellanie/Missioni di lingua e cultura diversa, notiamo che la formula classica della Missio cum cura animarum era in fondo legata, in passato, ad una immigrazione provvisoria o comunque in fase di assestamento. Orbene, tale soluzione non dovrebbe più costituire oggi la formula quasi esclusiva d’intervento pastorale per collettività immigrate che si trovano a diversi livelli di integrazione nel Paese di accoglienza. E’ necessario pensare cioè a nuove strutture che, da una parte, risultino più “stabili”, con una conseguente configurazione giuridica nelle Chiese particolari e, dall’altra, rimangano flessibili e aperte ad una immigrazione mobile o temporanea. Non è cosa facile, ma sembra essere ormai questa la sfida del futuro.

Strutture pastorali

91. Tenendo sempre in considerazione che i migranti stessi debbono essere i primi protagonisti della pastorale, si potrebbero così contemplare soluzioni adatte sia nell’ambito della pastorale etnico-linguistica, sia di quella d’insieme (cfr. PaG 72).

Per il primo ambito, anzitutto, vogliamo qui indicare alcune dinamiche e strutture pastorali, cominciando dalla Missio cum cura animarum, formula classica per comunità in via di formazione, applicata ai gruppi etnici nazionali o di un certo rito, non ancora stabilizzati. Anche in queste Cappellanie/Missioni però si dovranno accentuare, sempre più,i rapporti interetnici e interculturali.

La Parrocchia personale etnico‑linguistica o rituale è invece prevista là dove esista una collettività immigrata che avrà, anche in futuro, un ricambio e dove la collettività immigrata conserva una rilevante consistenza numerica. Essa offre i caratteristici servizi parrocchiali (annuncio della Parola, Catechesi, Liturgia, Diaconia) e farà riferimento soprattutto ai fedeli di recente immigrazione o stagionali o sottoposti a rotazione, e a coloro che, per varie ragioni, hanno difficoltà ad inserirsi nelle strutture territoriali esistenti.

Si può contemplare anche il caso di una Parrocchia locale con missione etnico‑linguistica o rituale, che si identifica con una Parrocchia territoriale la quale, grazie a uno o più Operatori pastorali, si prende cura di uno o più gruppi di fedeli stranieri. Il Cappellano qui fa parte dell’équipe della Parrocchia.

Vi può essere altresì il Servizio pastorale etnico‑linguistico a livello zonale, concepito come azione pastorale in favore di immigrati relativamente integrati nella società locale. Sembra importante infatti conservare alcuni elementi di pastorale linguistica, o legata ad una nazionalità, o a un rito, impegno che assicuri servizi essenziali, e legati a un certo tipo di cultura e pietà e curi, nello stesso tempo, l’apertura e l’interazione tra la comunità territoriale e i vari gruppi etnici.

92. In ogni caso, quando risulti difficile o non opportuna l’erezione canonica delle anzidette strutture stabili di cura pastorale, rimane intatto il dovere di assistere pastoralmente i cattolici immigrati con quelle modalità che, considerate le caratteristiche della situazione, sono ritenute più efficaci, anche senza specifiche istituzioni canoniche. Le cristallizzazioni pastorali informali, e magari spontanee, meritano cioè di esser promosse e riconosciute nelle circoscrizioni ecclesiastiche, a prescindere dalla consistenza numerica di chi ne beneficia, anche per non dare spazio all’improvvisazione e a Operatori isolati e non idonei, o addirittura alle sette.

Pastorale d’insieme e ambiti settoriali

93. Pastorale d’insieme significa qui, soprattutto, comunione che sa valorizzare l’appartenenza a culture e popoli diversi, in risposta al piano d’amore del Padre, che costruisce il suo Regno di pace – per Cristo, con Cristo e in Cristo – in potenza dello Spirito, nell’intreccio delle vicende storiche, complesse e spesso apparentemente contraddittorie, dell’umanità (cfr. NMI 43).

In questo senso si possono prevedere:

– la Parrocchia interculturale e interetnica o interrituale, dove si cura, allo stesso tempo, l’assistenza pastorale degli autoctoni e degli stranieri residenti sullo stesso territorio. La Parrocchia tradizionale territoriale diventerebbe così un luogo privilegiato e stabile di esperienze interetniche o interculturali, pur conservando, i singoli gruppi, una certa autonomia, o

– la Parrocchia locale con servizio ai migranti di una o più etnie, di uno o più riti. E’ una Parrocchia territoriale composta di popolazione autoctona, ma la cui chiesa o centro parrocchiale diventano punto di riferimento, di incontro e di vita comunitaria anche di una o più comunità straniere.

94. Si potrebbero infine prevedere alcuni ambiti, strutture o settori pastorali specifici, che si dedichino all’animazione e alla formazione, sempre nel mondo dei migranti, a vari livelli. Pensiamo a:

Centri di pastorale giovanile specifica e di proposta vocazionale, col compito di promuovere le relative iniziative;

Centri di formazione di laici e operatori pastorali, in una prospettiva multiculturale;

Centri di studio e di riflessione pastorale, col compito di seguire l’evoluzione del fenomeno migratorio e di presentare a chi di dovere adeguate proposte pastorali.

Le unità pastorali

95. Le unità pastorali[76], sorte da qualche tempo in alcune Diocesi, potrebbero costituire, in futuro, una piattaforma pastorale anche per l’apostolato fra gli immigrati. Esse mettono in evidenza, infatti, il lento cambiamento del rapporto della parrocchia con il territorio, che vede il moltiplicarsi di servizi di cura d’anime a raggio sovraparrocchiale, l’emergere di nuove e legittime ministerialità e, non da ultimo, una presenza sempre più accentuata, e geograficamente diffusa, della “diaspora” migratoria.

Le unità pastorali avranno il seguito desiderato se si porranno soprattutto su un piano di funzionalità in relazione a una pastorale d’insieme, integrata, organica, e in questo quadro anche le Cappellanie/Missioni etnico‑linguistiche e rituali vi potranno godere di piena accettazione. Le esigenze della comunione e della corresponsabilità si devono manifestare, di fatto, non solo nelle relazioni tra persone e tra gruppi diversi, ma anche nei rapporti tra comunità parrocchiali locali e comunità etnico‑linguistiche o rituali.

CONCLUSIONE

Universalità di missione

I semina Verbi (semi del Verbo)

96. Le migrazioni odierne costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. Esse ci fanno incontrare uomini e donne, nostri fratelli e sorelle, che per motivi economici, culturali, politici o religiosi abbandonano, o sono costretti ad abbandonare, le loro case per ritrovarsi per la maggior parte in campi‑profughi, in megalopoli senz’anima, in quartieri degradati o baraccopoli di periferia, dove il migrante condivide spesso l’emarginazione con l’operaio disoccupato, il giovane disadattato, la donna abbandonata. Il migrante è per ciò assetato di “gesti” che lo facciano sentire accolto, riconosciuto e valorizzato come persona. Anche il semplice saluto è uno di questi.

In risposta a tale anelito, i Consacrati e le Consacrate, le Comunità, le Associazioni laicali e i Movimenti ecclesiali, nonché gli Operatori pastorali, devono sentirsi impegnati a educare anzitutto i cristiani all’accoglienza, alla solidarietà e all’apertura verso gli stranieri, affinché le migrazioni diventino una realtà sempre più “significativa” per la Chiesa, e i fedeli possano scoprire i semina Verbi (semi del Verbo) insiti nelle diverse culture e religioni[77].

97. Nella comunità cristiana nata dalla Pentecoste, le migrazioni, in effetti, fanno parte integrante della vita della Chiesa, ne esprimono bene l’universalità, ne favoriscono la comunione, ne influenzano la crescita.

Le migrazioni, dunque, offrono alla Chiesa l’occasione storica di una verifica delle sue note caratteristiche. Essa di fatto è una anche in quanto esprime, in un certo senso, l’unità di tutta la famiglia umana; è santa pure per santificare tutti gli uomini e affinché in essi sia santificato il nome di Dio; è cattolica altresì nell’apertura alle diversità da armonizzare, ed è apostolica anche perché impegnata ad evangelizzare tutto l’uomo e tutti gli uomini.

Ora appare chiaro, infatti, che non è soltanto la lontananza geografica che determina la missionarietà, quanto l’estraneità culturale e religiosa. “Missione” è perciò l’andare verso ogni uomo per annunciargli Gesù Cristo e, in Lui e nella Chiesa, metterlo in comunione con tutta l’umanità.

Operatori di comunione

98. Superata la fase di emergenza e di assestamento dei migranti nel Paese di accoglienza, il Cappellano/Missionario cercherà così di allargare il proprio orizzonte per diventare “diacono di comunione”. Con il suo “essere straniero” egli sarà un ricordo vivo, per la Chiesa locale in tutte le sue componenti, della sua caratteristica cattolicità, e le strutture pastorali, di cui egli è al servizio, saranno il segno, per quanto povero, di una Chiesa particolare impegnata nel concreto in un cammino di comunione universale, nel rispetto delle legittime diversità.

99. A questo proposito anche tutti i fedeli laici, pur senza particolari funzioni o compiti, sono chiamati a intraprendere un itinerario di comunione che implichi appunto accettazione delle legittime diversità. La difesa dei valori cristiani infatti passa, certo, pure attraverso la non discriminazione degli immigrati, soprattutto grazie a un vigoroso recupero spirituale dei fedeli stessi. Il dialogo fraterno e il rispetto reciproco, testimonianza vissuta dell’amore e dell’accoglienza, costituiranno così di per sé la prima e indispensabile forma di evange-lizzazione.

Pastorale dialogante e missionaria

100. Le Chiese particolari sono chiamate dunque ad aprirsi, proprio a causa dell’Evangelo, ad una miglior accoglienza dei migranti, anche con iniziative pastorali d’incontro e di dialogo, ma altresì aiutando i fedeli a superare pregiudizi e prevenzioni. Nella società contemporanea, che le migrazioni contribuiscono a configurare sempre più come multietnica, interculturale e multireligiosa, i cristiani sono chiamati ad affrontare un capitolo sostanzialmente inedito e fondamentale del compito missionario: quello di esercitarlo nelle terre di antica tradizione cristiana (cfr. PaG 65 e 68). Con molto rispetto e attenzione per le tradizioni e culture dei migranti, siamo cioè chiamati, noi cristiani, a testimoniare il Vangelo della carità e della pace anche a loro e ad annunciare esplicitamente pure ad essi la Parola di Dio, in modo che li raggiunga la Benedizione del Signore promessa ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.

La pastorale specifica per, tra e con i migranti, appunto perché è di dialogo, di comunione e di missione, diventerà allora espressione significativa della Chiesa, chiamata ad essere incontro fraterno e pacifico, casa di tutti, edificio sostenuto dai quattro pilastri a cui si riferisce il Beato Papa Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, e cioè la verità e la giustizia, la carità e la libertà[78], frutti di quell’evento pasquale che, in Cristo, ha riconciliato tutto e tutti. Essa manifesterà in tal modo pienamente il suo essere casa e scuola di comunione (cfr. NMI 43) accolta e partecipata, di riconciliazione chiesta e concessa, di mutua, fraterna accoglienza e di autentica promozione umana e cristiana. Così “si afferma sempre più la consapevolezza dell’innata universalità dell’organismo ecclesiale, in cui nessuno può essere considerato straniero o semplicemente ospite, né in qualche modo marginale” (CMU 29).

La Chiesa e i cristiani, segno di speranza

101. Di fronte al vasto movimento di genti in cammino, al fenomeno della mobilità umana, considerata da alcuni il nuovo “credo” dell’uomo contemporaneo, la fede ci ricorda come tutti siamo pellegrini verso la Patria. “La vita cristiana è essenzialmente la Pasqua vissuta con Cristo, ossia un passaggio, una sublime migrazione verso la Comunione totale del Regno di Dio” (CMU 10). Ebbene, tutta la storia della Chiesa pone in evidenza la sua passione, il suo santo zelo, per questa umanità in cammino.

Lo “straniero” è il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano. Negli “stranieri” la Chiesa vede Cristo che “mette la sua tenda in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,14) e che “bussa alla nostra porta” (cfr. Ap 3,20). Questo incontro – fatto di attenzione, accoglienza, condivisione e solidarietà, di tutela dei diritti dei migranti e di impegno evangelizzatore ‑ rivela la costante sollecitudine della Chiesa che scopre in loro autentici valori e li considera una grande risorsa umana.

102. Dio affida perciò alla Chiesa, anch’essa pellegrina sulla terra, il compito di forgiare una nuova creazione, in Cristo Gesù, ricapitolando in Lui (cfr. Ef 1,9‑10) tutto il tesoro di una ricca diversità umana che il peccato ha trasformato in divisione e conflitto. Nella misura in cui la presenza misteriosa di questa nuova creazione è autenticamente testimoniata nella sua vita, la Chiesa è segno di speranza per un mondo che desidera ardentemente giustizia, libertà, verità e solidarietà, cioè pace e armonia[79]. Nonostante i ripetuti fallimenti di progetti umani pur nobili, i cristiani, sollecitati dal fenomeno della mobilità, prendono coscienza della loro chiamata ad essere, sempre e di nuovo, segno, nel mondo, di fraternità e comunione, praticando, nell’etica dell’incontro, il rispetto delle differenze e la solidarietà.

103. Pure i migranti possono essere i costruttori, nascosti e provvidenziali, di una tale fraternità universale, insieme a molti altri fratelli e sorelle. Essi offrono alla Chiesa l’opportunità di realizzare più concretamente la sua identità comunionale e la sua vocazione missionaria, come attesta il Vicario di Cristo: “Le migrazioni offrono alle singole Chiese locali l’occasione di verificare la loro cattolicità, che consiste non solo nell’accogliere le diverse etnie, ma soprattutto nel realizzare la comunione di tali etnie. Il pluralismo etnico e culturale nella Chiesa non costituisce una situazione da tollerarsi in quanto transitoria ma una sua dimensione strutturale. L’unità della Chiesa non è data dall’origine e lingua comuni, ma dallo Spirito di Pentecoste che, raccogliendo in un solo Popolo genti di lingue e nazioni diverse, conferisce a tutte la fede nello stesso Signore e la chiamata alla stessa speranza”[80].

104. La Vergine Madre che, insieme a suo Figlio Benedetto, ha provato il dolore insito nell’emigrazione e nell’esilio, ci aiuti a comprendere l’esperienza, e molte volte il dramma, di quanti sono costretti a vivere lontani dalla loro Patria e ci insegni a metterci a servizio delle loro necessità in una accoglienza veramente fraterna, affinché le odierne migrazioni siano considerate un appello, pur misterioso, al Regno di Dio già presente, come primizia, nella sua Chiesa (cfr. LG 9), e strumento provvidenziale al servizio dell’unità della famiglia umana e della pace[81].

Ordinamento giuridico-pastorale

PREMESSA

Art. 1

§ 1. Al diritto che i fedeli hanno di ricevere gli aiuti provenienti dai beni spirituali della Chiesa, specialmente dalla Parola di Dio e dai Sacramenti (CIC can. 213, CCEO can. 16) corrisponde il dovere dei Pastori di provvedere tali aiuti, in modo particolare ai migranti, attese le loro particolari condizioni di vita.

§ 2. Giacché con il domicilio o quasi‑domicilio i migranti sono canonicamente ascritti nella Parrocchia e alla Diocesi/Eparchia (CIC cann. 100‑107; CCEO cann. 911‑917), spetta al Parroco e al Vescovo diocesano o eparchiale di estendere ad essi la medesima cura pastorale dovuta ai propri soggetti autoctoni.

§ 3. Peraltro, specialmente quando i gruppi di migranti sono numerosi, le Chiese di loro provenienza hanno la responsabilità di cooperare con le Chiese di arrivo per facilitare una effettiva e adatta assistenza pastorale.

Capitolo I

I FEDELI LAICI

Art. 2

§ l. Nell’adempimento dei loro compiti specifici, i Laici si dedichino all’attuazione concreta di ciò che la verità, la giustizia e la carità richiedono. Essi devono quindi accogliere i migranti come fratelli e sorelle e adoperarsi affinché i loro diritti, specie quelli che riguardano la famiglia e la sua unità, siano riconosciuti e tutelati dalle Autorità civili.

§ 2. I fedeli laici sono chiamati anche a promuovere l’evangelizzazione dei migranti mediante la testimonianza di una vita cristiana vissuta nella fede, nella speranza e nella carità, e con l’annuncio della Parola di Dio secondo i modi loro possibili e propri. Tale impegno si fa ancor più necessario laddove, per la lontananza o la dispersione degli insediamenti o per la scarsezza di Clero, i migranti si trovino privi di assistenza religiosa. In questi casi, i fedeli laici siano solleciti nel ricercarli e nell’avviarli alla chiesa del luogo e a dare il proprio aiuto ai Cappellani/Missionari e ai Parroci affinché siano facilitati i loro contatti con i migranti.

Art. 3

§ 1. Si sforzino, i fedeli che decidono di vivere presso un altro popolo, di stimare il patrimonio culturale della Nazione che li accoglie, di contribuire al suo bene comune e di diffondere la fede soprattutto mediante l’esempio di vita cristiana.

§ 2. Dove i migranti sono più numerosi sì offra loro, in particolare, la possibilità di prendere parte ai Consigli Pastorali diocesani/eparchiali e parrocchiali, in modo da essere, essi, realmente inseriti anche nelle strutture di partecipazione della Chiesa particolare.

§ 3. Fermo restando il diritto dei migranti ad avere associazioni proprie, si cerchi tuttavia di agevolare la loro partecipazione ad associazioni locali.

§ 4. I Laici culturalmente più preparati e spiritualmente più disponibili siano inoltre sollecitati e formati a uno specifico servizio come Operatori pastorali, in stretta collaborazione con i Cappellani/Missionari.

Capitolo II

I CAPPELLANI/MISSIONARI

Art. 4

§ 1. I Presbiteri che hanno ricevuto dall’Autorità ecclesiastica competente il mandato di prestare, in modo stabile, assistenza spirituale ai migranti della stessa lingua o Nazione, o appartenenti alla stessa Chiesa sui iuris, si chiamano Cappellani/Missionari dei migranti e, in forza del loro ufficio, vengono muniti delle facoltà di cui al can. 566, §1 del CIC.

§ 2. Tale ufficio sia affidato ad un Presbitero che per conveniente periodo di tempo si sia ad esso ben preparato e che, per virtù, cultura e conoscenza della lingua, e per altre doti morali e spirituali, si riveli idoneo a svolgere questo specifico, difficile compito.

Art. 5

§ 1. Il Vescovo diocesano o eparchiale voglia concedere la licenza di assumerlo a quei Presbiteri che desiderano dedicarsi all’assistenza spirituale dei migranti e che ritiene adatti per tale missione, secondo quanto stabilito dal CIC can. 271 e dal CCEO cann. 361‑362, nonché dalle disposizioni del presente ordinamento giuridico‑pastorale.

§ 2. I Presbiteri, che abbiano ottenuto il dovuto permesso di cui al paragrafo precedente, si mettano a disposizione di servizio della Conferenza Episcopale ad quam, muniti dell’apposito documento loro concesso, tramite il proprio Vescovo diocesano o eparchiale e la propria Conferenza Episcopale, o le competenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche. La Conferenza Episcopale ad quam provvederà poi ad affidare tali Presbiteri al Vescovo diocesano o eparchiale o ai Vescovi delle Diocesi o Eparchie interessate, i quali li nomineranno Cappellani/Missionari dei migranti.

§ 3. Per quanto riguarda i Presbiteri religiosi, che si consacrano all’assistenza dei migranti, valgono le norme specifiche contenute nel capitolo III.

Art. 6

§ 1. Quando, atteso il numero dei migranti o la convenienza di una specifica cura pastorale rispondente alle loro esigenze, si ritenga necessario l’erezione di una Parrocchia personale, nell’atto corrispondente curi il Vescovo diocesano o eparchiale di stabilire chiaramente l’ambito della Parrocchia e le disposizioni circa i libri parrocchiali. Qualora esista la possibilità, si tenga presente che i migranti possono scegliere, con piena libertà, di appartenere alla Parrocchia territoriale nella quale vivono, oppure alla Parrocchia personale.

§ 2. Il Presbitero cui è stata affidata una Parrocchia personale per i migranti gode delle facoltà e degli obblighi dei Parroci e gli è applicabile, a meno che consti altrimenti dalla natura delle cose, quanto qui disposto circa i Cappellani/Missionari dei migranti.

Art. 7

§ 1. Il Vescovo diocesano o eparchiale potrà anche erigere una Missione con cura d’anime nel territorio di una o più Parrocchie, annessa o no a una Parrocchia territoriale, definendone accuratamente i termini.

§ 2. Il Cappellano, cui è stata affidata una Missione con cura d’anime, fatte le debite distinzioni, è equiparato giuridicamente al Parroco, ed esercita la sua funzione cumulativamente con il Parroco locale, con la facoltà altresì di assistere ai matrimoni degli sposi uno dei quali sia un migrante appartenente alla Missione.

§ 3. Il Cappellano, di cui al paragrafo precedente, ha l’obbligo di compilare i libri parrocchiali a norma del Diritto e di inviarne copia autentica alla fine di ogni anno sia al Parroco del luogo, sia a quello della Parrocchia in cui è stato celebrato il matrimonio.

§ 4. I Presbiteri assegnati come Coadiutori al Cappellano cui è stata affidata una Missione con cura di anime hanno, fatte le dovute distinzioni, gli stessi compiti e facoltà che spettano ai Vicari parrocchiali.

§ 5. Se le circostanze lo rendono opportuno, la Missione con cura di anime eretta nel territorio di una o anche di più Parrocchie, può essere annessa ad una Parrocchia territoriale, specialmente quando questa è affidata ai membri dello stesso Istituto di vita consacrata o Società di vita apostolica di coloro che curano l’assistenza spirituale dei migranti.

Art. 8

§ 1. A ciascun Cappellano dei migranti, anche se non gli è stata affidata una Missione con cura d’anime, sia assegnata, per quanto è possibile, una chiesa o oratorio per l’esercizio del sacro ministero. In caso contrario, il competente Vescovo diocesano o eparchiale emani opportune disposizioni per consentire al Cappellano/Missionario di svolgere liberamente, e cumulativamente con il Parroco locale, il suo dovere spirituale in una chiesa, non esclusa quella parrocchiale.

§ 2. I Vescovi diocesani o eparchiali curino che i compiti dei Cappellani/Missionari dei migranti siano coordinati con l’ufficio dei Parroci e da questi vengano accolti e aiutati (cfr. CIC can. 571). E’ conveniente poi che alcuni Cappellani/Missionari dei migranti siano chiamati a far parte del Consiglio Presbiterale della Diocesi.

Art. 9

Salvo espresse convenzioni contrarie, tra i Vescovi diocesani o eparchiali spetta a quello che ha eretto la Missione, per la quale il Cappellano esercita il suo ministero, garantire che gli siano concesse le stesse condizioni economiche ed assicurative di cui godono gli altri Presbiteri della Diocesi o Eparchia.

Art. 10

Il Cappellano/Missionario dei migranti, per tutto il tempo del suo incarico, è soggetto alla giurisdizione del Vescovo diocesano o eparchiale che ha eretto la Missione per la quale compie il suo ufficio, sia per quanto riguarda l’esercizio del sacro ministero che per l’osservanza della disciplina ecclesiale.

Art. 11

§ 1. Nelle Nazioni in cui sono numerosi i Cappellani/Missionari dei migranti della stessa lingua, è opportuno che uno di essi sia nominato Coordinatore Nazionale.

§ 2. Considerato che il Coordinatore è dedito, appunto, al coordinamento del ministero ed è a servizio dei Cappellani/Missionari operanti all’interno di una Nazione, egli agisce in nome della Conferenza Episcopale ad quam, dal cui Presidente riceve la nomina, previa consultazione della Conferenza Episcopale a qua.

§ 3. Il Coordinatore sia scelto, in genere, tra i Cappellani/Missionari della stessa nazionalità o lingua.

§ 4. In ragione del proprio ufficio, il Coordinatore non gode di potestà di giurisdizione.

§ 5. Il Coordinatore ha il compito di tenere relazioni, in vista del coordinamento, sia con i Vescovi diocesani e eparchiali del Paese a quo sia con quelli del Paese ad quem.

§ 6. E’ conveniente interpellare i Coordinatori nel caso di nomina, trasferimento o rimozione dei Cappellani/Missionari, nonché in vista dell’erezione di una nuova Missione.

Capitolo III

I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE

Art. 12

§ 1. Tutti gli Istituti, nei quali spesso si trovano religiosi provenienti da varie Nazioni, possono dare un contributo nell’assistenza ai migranti. Le Autorità ecclesiastiche favoriscano peraltro in particolare l’opera svolta da quelli che, col suggello dei voti religiosi, hanno come fine proprio e specifico l’apostolato a favore dei migranti, o che hanno maturato una notevole esperienza in questo campo.

§ 2. Dovrà essere anche apprezzato e valorizzato l’aiuto offerto dagli Istituti religiosi femminili all’apostolato tra i migranti. Il Vescovo diocesano o eparchiale abbia perciò cura che a tali Istituti, nel pieno rispetto dei propri diritti e tenendo in conto i loro obblighi e il carisma, non manchino né l’assistenza spirituale, né i mezzi materiali necessari allo svolgimento della loro missione.

Art. 13

§ 1. In genere, qualora un Vescovo diocesano o eparchiale intenda affidare la cura dei migranti a un qualche Istituto religioso, salve le consuete norme canoniche, egli procederà a stipulare una convenzione scritta con il Superiore dell’Istituto. Se più diocesi o eparchie ne fossero interessate, la stipulazione dovrà essere sottoscritta da ogni Vescovo diocesano o eparchiale, fermo restando il ruolo di coordinamento di queste iniziative da parte della apposita Commissione della Conferenza Episcopale o delle rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche.

§ 2. Se l’incarico della cura pastorale dei migranti viene affidato poi ad un singolo Religioso, è sempre necessario ottenere il previo consenso del suo Superiore, e stipulare altresì la relativa convenzione per iscritto, procedendo cioè, fatte le dovute distinzioni, nella maniera stabilita all’art. 5 per i Presbiteri secolari.

Art. 14

Per quanto riguarda l’esercizio dell’apostolato tra i migranti e gli itineranti, tutti i Religiosi sono tenuti ad ottemperare alle disposizioni del Vescovo diocesano o eparchiale. Anche nel caso di Istituti che si prefiggono come fine specifico l’assistenza dei migranti, tutte le opere ed iniziative prese in loro favore sono soggette all’autorità e alla direzione del Vescovo diocesano o eparchiale, fermo restando il diritto dei Superiori di vigilare sulla vita religiosa e sullo zelo con cui i confratelli svolgono il loro ministero.

Art. 15

Quanto stabilito in questo capitolo circa i Religiosi è da applicarsi, fatte le dovute distinzioni, alle Società di vita apostolica e agli Istituti secolari.

Capitolo IV

LE AUTORITÁ ECCLESIASTICHE

Art. 16

§ 1. Il Vescovo diocesano o eparchiale si mostri specialmente sollecito in favore dei fedeli migranti, soprattutto sostenendo l’azione pastorale che a loro vantaggio svolgono i Parroci e i Cappellani/Missionari degli immigrati, chiedendo il necessario aiuto alle Chiese di provenienza e alle altre Istituzioni dedite all’assistenza spirituale dei migranti, e provvedendo altresì alla creazione delle strutture pastorali che meglio si adattino alle circostanze e alle necessità pastorali. Se risulta necessario, il Vescovo diocesano o eparchiale nomini un Vicario episcopale con l’incarico di dirigere la pastorale relativa ai migranti, oppure costituisca un Ufficio speciale per i migranti stessi presso la Curia vescovile o eparchiale.

§ 2. Poiché l’assistenza spirituale dei fedeli ricade in primis sul Vescovo diocesano o eparchiale, a lui spetta di erigere Parrocchie personali e Missioni con cura d’anime, e nominare Cappellani/Missionari. Curi il Vescovo diocesano o eparchiale che il Parroco territoriale e i Presbiteri incaricati dei migranti procedano in spirito di collaborazione e d’intesa.

§ 3. Il Vescovo diocesano o eparchiale provveda, a norma del CIC can. 383 e del CCEO can. 193, anche all’assistenza spirituale dei migranti di un’altra Chiesa sui iuris, favorendo l’azione pastorale dei Presbiteri del medesimo rito o di altri Presbiteri, osservando le pertinenti norme canoniche.

Art. 17

§ 1. Nei confronti dei migranti cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, il Vescovo diocesano o eparchiale abbia un atteggiamento di carità, favorendo l’ecumenismo come viene inteso dalla Chiesa, e offrendo a questi immigrati l’aiuto spirituale possibile e necessario, con ossequio della normativa circa la communicatio in sacris e dei legittimi desiderata dei loro Pastori.

§ 2. Il Vescovo diocesano o eparchiale consideri anche i migranti non battezzati come affidati a lui nel Signore e, nel rispetto della libertà di coscienza, offra pure loro la possibilità di giungere alla verità che è Cristo.

Art. 18

§ 1. I Vescovi diocesani o eparchiali dei Paesi a quibus ammoniscano i Parroci del grave loro dovere di procurare a tutti i fedeli una formazione religiosa tale per cui, all’occorrenza, possano far fronte alle difficoltà connesse con la loro partenza per l’emigrazione.

§ 2. I Vescovi diocesani o eparchiali dei luoghi a quibus si preoccupino inoltre di cercare Presbiteri diocesani/eparchiali adatti alla pastorale con gli emigranti e non trascurino di mettersi in stretta relazione con la Conferenza Episcopale, o la rispettiva Struttura Gerarchica della Chiesa Orientale Cattolica, della Nazione ad quam per stabilire un aiuto nella pastorale.

§ 3. Pur nelle Diocesi/Eparchie o regioni dove non si rende necessaria immediatamente una specializzazione dei Seminaristi in tema di migrazione, i problemi della mobilità umana dovranno ugualmente entrare sempre più nella visuale dell’insegnamento teologico e soprattutto della teologia pastorale.

Capitolo V

LE CONFERENZE EPISCOPALI E LE RISPETTIVE STRUTTURE GERARCHICHE
DELLE CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE

Art. 19

§ 1. Nelle Nazioni dove si recano o da dove partono in maggior numero i migranti, le Conferenze Episcopali e le competenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche costituiscano una speciale Commissione Nazionale per le migrazioni. Essa avrà un suo Segretario, che generalmente assumerà le funzioni di Direttore Nazionale per le migrazioni. E’ molto conveniente che in questa Commissione siano presenti Religiosi, come esperti, specialmente quelli dediti all’assistenza dei migranti, nonché Laici periti in materia.

§ 2. Nelle altre Nazioni, dove minore è il numero dei migranti, le Conferenze Episcopali o le rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche designino un Vescovo Promotore, per assicurare loro la conveniente assistenza.

§ 3. Le Conferenze Episcopali e le rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche comunicheranno al Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti la composizione della Commissione, di cui al paragrafo primo, o il nome del Vescovo Promotore.

Art. 20

§ 1. Spetta alla Commissione per le migrazioni o al Vescovo Promotore:

1) informarsi del fenomeno migratorio nella Nazione e trasmetterne i dati utili ai Vescovi diocesani/eparchiali, in relazione anche con i Centri di Studi Migratori;

2) animare e stimolare le relative Commissioni diocesane, che a loro volta lo faranno con quelle parrocchiali che si occupano del vasto fenomeno, più generale, della mobilità umana;

3) accogliere le richieste di Cappellani/Missionari da parte dei Vescovi delle diocesi/eparchie di immigrazione e presentare ad essi i Presbiteri proposti a questo ministero;

4) proporre alla Conferenza Episcopale e alle rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche, se è il caso, la nomina di un Coordinatore Nazionale per i Cappel-lani/Missionari;

5) stabilire gli opportuni contatti con le Conferenze Episcopali e le rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche interessate;

6) stabilire gli opportuni contatti con il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e trasmettere ai Vescovi diocesani o eparchiali le indicazioni da esso ricevute;

7) inviare al Pontificio Consiglio della pastorale per i Migranti e gli Itineranti, alla Conferenza Episcopale, alle rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche, nonché ai Vescovi diocesani/eparchiali, la relazione annuale circa la situazione della pastorale per i migranti.

§ 2. E’ compito del Direttore Nazionale:

1) facilitare in genere, con riferimento anche all’art. 11, i rapporti dei Vescovi della propria Nazione con la Commissione Nazionale/specifica o con il Vescovo Promotore;

2) elaborare la relazione di cui al n. 7, §1 di questo articolo.

Art. 21

Al fine di sensibilizzare tutti i fedeli ai doveri di fraternità e di carità nei confronti dei migranti, e per raccogliere gli aiuti economici necessari per adempiere gli obblighi pastorali con i migranti stessi, le Conferenze Episcopali e le rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche fissino la data di una “Giornata (o Settimana) del migrante e del rifugiato” nel periodo e nel modo che le circostanze locali suggeriscono, anche se in futuro si auspica ovunque una celebrazione in data unica.

Capitolo VI

IL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE
PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI

Art. 22

§ 1. E’ compito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti dirigere “la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto; parimenti, procura di seguire con la dovuta attenzione le questioni attinenti a questa materia” (PB 149). Inoltre “il Consiglio s’impegna perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace ed appropriata assistenza spirituale, se necessario anche mediante opportune strutture pastorali, sia ai profughi ed agli esuli, sia ai migranti” (PB 150,1), ferme restando la responsabilità pastorale delle Chiese locali e le competenze di altri Organi della Curia Romana.

§ 2. Spetta dunque al Pontificio Consiglio, fra l’altro:

1) studiare i rapporti inviati dalle Conferenze Episcopali e dalle rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche;

2) emanare istruzioni, di cui al can. 34 del CIC, dare suggerimenti e incoraggiare iniziative, attività e programmi, per sviluppare strutture e istituzioni relative all’assistenza pastorale dei migranti;

3) favorire lo scambio di informazioni tra le varie Conferenze Episcopali o provenienti dalle corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche, e facilitare i loro rapporti, specie per quel che concerne il trasferimento dei Presbiteri da una Nazione ad un’altra per la cura pastorale dei migranti;

4) seguire, incoraggiare e animare l’attività pastorale di coordinamento e armonizzazione a favore dei migranti negli Organismi regionali e continentali di comunione ecclesiale;

5) studiare le situazioni per valutare se si danno, in determinati luoghi, le circostanze che suggeriscano l’erezione di strutture pastorali specifiche per i migranti (cfr. numero 24, nota 23);

6) favorire il rapporto degli Istituti religiosi che offrono assistenza spirituale ai migranti con le Conferenze Episcopali e le rispettive Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche e seguire la loro opera, salve restando le competenze della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e per le Società di vita apostolica, in ciò che attiene all’osservanza della vita religiosa e quelle della Congregazione per le Chiese Orientali;

7) stimolare e partecipare alle iniziative utili o necessarie in vista di una proficua e giusta collaborazione ecumenica in campo migratorio, di intesa con il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani;

8) stimolare e prendere parte a quelle iniziative che siano ritenute necessarie o vantaggiose per il dialogo con i gruppi migratori non cristiani, di intesa con il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso.

Nonostante qualsiasi disposizione in contrario.

Il I° maggio 2004, memoria di san Giuseppe Lavoratore, il Santo Padre ha approvato la presente Istruzione del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, e ne ha autorizzato la pubblicazione.

Roma, dalla sede del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il 3 Maggio 2004, nella festa dei SS. Filippo e Giacomo, Apostoli.

Stephen Fumio Cardinale Hamao
Presidente

Agostino Marchetto
Arcivescovo titolare di Astigi
Segretario


Sigle e abbreviazioni

AA Apostolicam Actuositatem (Concilio Vaticano II)

AAS Acta Apostolicae Sedis

AG Ad Gentes (Concilio Vaticano II)

CCEO Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium

CD Christus Dominus (Concilio Vaticano II)

CfL Christifideles Laici (Giovanni Paolo II)

CIC Codex Iuris Canonici

CMU Chiesa e mobilitá umana (PCPMT)

DPMC De Pastorali Migratorum Cura, Nemo est(Congr. per i Vescovi)

EA Ecclesia in America (Giovanni Paolo II)

EE Ecclesia de Eucaristia (Giovanni Paolo II)

EEu Ecclesia in Europa (Giovanni Paolo II)

EN Evangelii Nuntiandi (Paolo VI)

EO Ecclesia in Oceania (Giovanni Paolo II)

EV Enchiridion Vaticanum

GS Gaudium et Spes (Concilio Vaticano II)

LG Lumen Gentium (Concilio Vaticano II)

Messaggio Messaggio Pontificio per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato

MR Mutuae Relationes (Congr. per i Religiosi e Congr. per i Vescovi)

NMI Novo Millennio Ineunte (Giovanni Paolo II)

OE Orientalium Ecclesiarum (Concilio Vaticano II)

OR L’Osservatore Romano

PaG Pastores Gregis (Giovanni Paolo II)

PB Pastor Bonus (Giovanni Paolo II)

PdV Pastores dabo vobis (Giovanni Paolo II)

PG Patrologia Graeca, Migne

PL Patrologia Latina, Migne

PO Presbyterorum Ordinis (Concilio Vaticano II)

PT Pacem in Terris (Giovanni XXIII)

RH Redemptor Hominis (Giovanni Paolo II)

RMa Redemptoris Mater (Giovanni Paolo II)

RMi Redemptoris Missio (Giovanni Paolo II)

SC Sacrosanctum Concilium (Concilio Vaticano II)


[1] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2001 Dialogo tra le culture per una civiltà dell’amore e della pace, 12: AAS XCIII (2001) 241; cfr. anche, di Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, 55: AAS XCIII (2001) 306.

[2] Pontificia Commissione per la pastorale delle Migrazioni e del Turismo, Lettera Circolare alle Conferenze Episcopali Chiesa e mobilità umana, 8: AAS LXX (1978) 362.

[3] Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale Ecclesia in Europa, 8: AAS XCV (2003) 655 e Esortazione Apostolica postsinodale Pastores Gregis, 69 e 72: OR 17 ottobre 2003, p. 12.

[4] Cfr. Giovanni Paolo II, Angelus Domini di domenica 6 luglio 2003: OR 7-8 luglio 2003, p. 1.

[5] La Convenzione fa riferimento anche a quelle già esistenti, sempre in ambito internazionale, i cui principi e diritti possono coerentemente applicarsi alla persona dei migranti. Richiama ad esempio le Convenzioni sulla schiavitù, quelle contro la discriminazione nel campo dell’istruzione e ogni forma di discriminazione razziale, e altresì i Patti internazionali sui diritti civili e politici e quelli sui diritti economici, sociali e culturali, nonché la Convenzione contro la discriminazione nei confronti delle Donne, e quella contro la tortura e altro trattamento o punizioni crudeli, inumane o degradanti. Va menzionata inoltre la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e la Dichiarazione di Manila del IV Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e il trattamento dei trasgressori. Di rilievo è dunque il fatto che anche i Paesi che non hanno ratificato la Convenzione circa la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, sono tenuti ad osservare le Convenzioni sopra ricordate, naturalmente se le ratificarono o vi avessero successivamente aderito.

Per i diritti dei migranti nella società civile vedasi, per esempio, da parte ecclesiale, Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Laborem Exercens, 23: AAS LXXIII (1981) 635-637.

[6] Cfr. Messaggio 2003: OR 2‑3 dicembre 2002, p. 7.

[7] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, Proemio, 22, 30-32: AAS LVIII (1966) 1025-1027, 1042-1044, 1049-1051; Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 1, 7 e 13: AAS LVII (1965) 5, 9-11, 17-18; Decreto sull’Apostolato dei Laici Apostolicam Actuositatem, 14: AAS LVIII (1966) 850s.; Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, Parte prima: AAS LV (1963) 259-269; Pontificio Consiglio Cor unum e Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, I rifugiati: una sfida alla solidarietà: EV 13 (1991-1993) 1019-1037; Pontificia Commissione della Giustizia e della Pace, Self‑Reliance: compter sur soi: EV 6 (1977-1979) 510-563 e Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, La Chiesa di fronte al razzismo: EV 11 (1988‑89) 906‑943.

[8] Messaggio 1999, 3: OR 21 febbraio 1999, p. 7.

[9] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Mater, 25: AAS LXXIX (1987) 394.

[10] Cfr. Lettera a Diogneto 5.1, citata in Messaggio 1999, 2: l.c., 7.

[11] Cfr. Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, X-XII: PG 1, 228-233; Didaché, XI, 1; XII, 1-5, ed. F. X. FUNK, 1901, pp. 24, 30; Costituzione dei Santi Apostoli, VII, 29, 2, ed. F. X. FUNK, 1905, p. 418; Giustino, Apologia I, 67: PG 6, 429; Tertulliano, Apologeticum, 39: PL 1, 471; Tertulliano, De praescriptione haereticorum, 20: PL 2, 32; Agostino, Sermo 103, 1-2. 6: PL 38, 613-615.

[12] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Missio, 20: AAS LXXXIII (1991) 267.

[13] Ricordiamo, senza essere esaustivi, gli interventi della Società Salesiana di San Giovanni Bosco in Argentina, le iniziative di Santa Francesca Saverio Cabrini, specialmente nell’America del Nord, e quella delle due Congregazioni religiose fondate dal Vescovo Beato Giovanni Battista Scalabrini, dell’Opera Bonomelli in Italia, della St. Raphaels‑Verein in Germania e della Società di Cristo per gli emigrati fondata dal Card. August Hlond, in Polonia.

[14] Cfr. Sacra Congregatio Consistorialis, Decretum de Sacerdotibus in certas quasdam regiones demigrantibus Ethnografica studia: AAS VI (1914) 182‑186.

[15] Cfr. Sacra Congregatio Consistorialis, Decretum de Clericis in certas quasdam regiones demigrantibus Magni semper: AAS XI (1919) 39‑43.

[16] AAS XLIV (1952) 649-704.

[17] L’Enciclica Pacem in Terris, nella Prima Parte, trattando il tema del diritto di emigrazione e immigrazione afferma: “Ogni essere umano ha diritto alla libertà di movimento e di dimora nell’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consiglino, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse”: l.c., 263.

[18] Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 18: AAS LVIII (1966) 682. Per quanto riguarda le “disposizioni date”, cfr. Pio X, Motu proprio Iam pridem: AAS VI (1914) 173ss; Pio XII, Costituzione Apostolica Exsul Familia, soprattutto la parte normativa: l.c., 692‑704; Sacra Congregatio Consistorialis, Leges Operis Apostolatus Maris, auctoritate Pii Div. Prov. PP. XII conditae: AAS L (1958) 375‑383.

[19] Cfr. Messaggio 1993, 6: OR 2 agosto 1992, p. 5.

[20] Paolo VI, Motu proprio Pastoralis migratorum cura: AAS LXI (1969) 601-603.

[21] Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum cura (Nemo est): AAS LXI (1969) 614-643.

[22] Cfr. Chiesa e mobilità umana, l.c., 357‑378.

[23] Cfr. CIC can. 294 e Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale Ecclesia in America, 65, nota 237: AAS XCI (1999) 800. Cfr. inoltre Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale Ecclesia in Europa, 103, nota 166, l.c. 707.

[24] Cfr. Giovanni Paolo II Costituzione Apostolica Sacri Canones: AAS LXXXII (1990) 1037.

[25] Per particolari disposizioni normative riguardanti le Chiese Orientali Cattoliche nel nostro contesto, cfr. CCEO, can. 315 (che tratta degli Esarcati e degli Esarchi), i cann. 911 e 916 (circa lo statuto del forestiero e il Gerarca del luogo, il Gerarca proprio e il Parroco proprio), il can. 986 (sulla potestà di governo), il can. 1075 (sul foro competente) e il can. 1491 (circa leggi, consuetudini e atti amministrativi).

[26] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 77: AAS LXXIV (1982) 176.

[27] Cfr. Istruzione della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica Ripartire da Cristo. Un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio, 9, 35, 36, 37 e 44: OR 15 giugno 2002, Supplemento, pp. III, IX, X.

[28] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptor Hominis, 14: AAS LXXI (1979) 284-286.

[29] Cfr. in particolare Messaggio 1992: OR 11 settembre 1991, p. 5 e quelli del 1996: OR 6 settembre 1995, p. 6 e del 1998: OR 21 novembre 1997, p. 4.

[30] Cfr. Messaggio 1993: 2, l.c., 5.

[31] Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Discorso del Santo Padre, 2: Atti del IV Congresso Mondiale sulla Pastorale dei Migranti e dei Rifugiati (5-10 Ottobre 1998), Città del Vaticano 1999, p. 9.

[32] Cfr. Messaggio 1996: OR 6 settembre 1995, p. 6.

[33] Messaggio 1988, 3b: OR 4 settembre 1987, p. 5.

[34] Cfr. Messaggio 1990, 5: OR 22 settembre 1989, p. 5 e quelli del 1992, 3, 5-6: l.c., 5 e del 2003: OR 2‑3 dicembre 2002, p. 7.

[35] Cfr. Messaggio 1987: OR 21 settembre 1986, p. 5 e quello del 1994: OR 17 settembre 1993, p. 4.

[36] Giovanni Battista Scalabrini, Memoriale per la costituzione di una commissione pontificia Pro emigratis catholicis (4 maggio 1905), in S. Tomasi e G. Rosoli, “Scalabrini e le migrazioni moderne. Scritti e carteggi”, Torino 1997, p. 233.

[37] Cfr. Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica sulla Curia Romana Pastor Bonus, 149‑151: AAS LXXX (1988) 899-900.

[38] Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’International Catholic Migration Commission, 4: OR 12-13 novembre 2001, p. 6.

[39] Ibidem.

[40] Di una tale necessità dell’evangelizzazione delle culture troviamo attestazione specialmente nella Esortazione Apostolica di Paolo VI Evangelii Nuntiandi (n. 20), in cui si afferma che “occorre evangelizzare … la cultura e le culture dell’uomo nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella costituzione Gaudium et Spes (cfr. n. 53), partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio. Il vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura, e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia il Regno, che il Vangelo annunzia, è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane”: AAS LXVIII (1976) 18-19.

[41] Cfr. pure Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, 8‑9: AAS LXXXV (1993) 842-844.

[42] Cfr. pure Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes,11: AAS LVIII (1966) 959-960.

[43] Ibidem 38: l.c., 986.

[44] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sul ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum ordinis, 2 e 6: AAS LVIII (1966) 991‑993, 999-1001 e Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 47: AAS LVI (1964) 113, nonché GS 66.

[45] Cfr. Istruzione interdicasteriale su alcune questioni circa la collaborazione dei Laici al ministero dei Sacerdoti Ecclesiae de mysterio: AAS LXXXIX (1997) 852-877 e PaG 51 e 68.

[46] Nel cap. 15 della Lettera ai Romani il dovere dell’accoglienza ci viene presentato nei suoi tratti più salienti, che qui si ricorda aggettivandola. Sia dunque essa “cristiana” e profonda, che parte dal cuore (“Dio … vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo”: v. 5); sia generosa e gratuita, non interessata e possessiva (“Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso … si è fatto servitore”: v. 3 e 8); sia benefica e edificante (“Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo”: v. 2) e attenta ai più deboli (“Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi”: v. 1).

[47] Cfr. Messaggio 1992, 3‑4: l.c., 5 e PaG 65

[48] Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Christifideles Laici, 23: AAS LXXXI (1989) 429-433, RMi 71 e PaG 40.

[49] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica sulla santificazione della domenica Dies Domini, 53: AAS XC (1998) 747; cfr. Congregazione per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del Sacerdote Christi Ecclesia, 18-50: EV XI (1988-1989) 452‑468, e Istruzione interdicasteriale Ecclesiae de mysterio, 4 e art. 7: l.c., 860, 869-870.

[50] Cfr. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su Pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti, Città del Vaticano 2002 e Commissione Teologica Internazionale, Fede e inculturazione, Parte terza, Problemi attuali di inculturazione, 2-7: EV 11 (1988-1989) 876-878.

[51] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 4 e 6: AAS LVII (1965) 77-78.

[52] Cfr. Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, De Benedictionibus, Città del Vaticano 1985.

[53] Cfr. Messaggio 1991: OR 15 agosto 1990, p. 5; Segretariati per l’Unione dei Cristiani, per i non Cristiani e per i non Credenti e Pontificio Consiglio della Cultura (a cura di), Il fenomeno delle sette o Nuovi Movimenti Religiosi: sfida pastorale, Città del Vaticano 1986 e Sette e Nuovi Movimenti Religiosi: Testi della Chiesa Cattolica (1986‑1994), (a cura del Gruppo di Lavoro sui Nuovi Movimenti Religiosi), Città del Vaticano 1995. Per quanto riguarda il “New Age”, cfr. Pontifici Consigli della Cultura e per il Dialogo inter-religioso, Gesù Cristo portatore dell’acqua viva. Una riflessione cristiana sul “New Age“, Città del Vaticano 2003.

[54] Per quanto riguarda le disposizioni circa il coordinamento di diversi riti in un medesimo territorio, cfr. CCEO cann. 202, 207 e 322.

[55] Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, 137: AAS LXXXV (1993) 1090.

[56] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia, 45: AAS XCV (2003) 462s. Per i cattolici il Santo Padre così attesta, richiamandosi all’Enciclica Un unum sint: “Reciprocamente, in determinati casi e per particolari circostanze, anche i cattolici possono fare ricorso per gli stessi Sacramenti ai ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi” (n. 46: AAS LXXXVII [1995] 948). “Occorre badare bene a queste condizioni, che sono inderogabili, pur trattandosi di casi particolari determinati, poiché [per] il rifiuto di una o più verità di fede su questi Sacramenti e, tra esse, di quella concernente la necessità del Sacerdozio ministeriale, … un fedele cattolico non potrà ricevere la comunione presso una comunità mancante del valido sacramento dell’Ordine” (EE 46).

[57] Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, 107: l.c., 1083.

[58] Cfr. RMi 37b, 52, 53, 55-57: l.c., 283, 299, 300, 302-305.

[59] Cfr. Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso e Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Istruzione Dialogo e Annuncio, 42‑50: AAS LXXXIV (1992) 428-431.

[60] Nelle scuole in cui è offerta anche la refezione, occorrerà tenere conto delle regole alimentari degli alunni, a meno che i genitori non dichiarino di rinunciarvi. La scuola dovrà favorire inoltre momenti di dialogo, sull’attività comune, fra genitori, compresi anche quelli appartenenti ad altre religioni.

[61] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale Ecclesia in Oceania, 45: AAS XCIV (2002) 417-418.

[62] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra Aetate, 1-3, 5: AAS LVIII (1966) 740-744 e anche EEu 57.

[63] Cfr. pure Segretariato per i non Cristiani, L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni, 32: OR 11‑12 giugno 1984, p. 4.

[64] Cfr. Messaggio 2002, 3: OR 19 ottobre 2001, p. 5.

[65] Congregazione per l’Educazione Cattolica, Lettera circolare, Il fenomeno della mobilità, agli Ordinari diocesani e ai Rettori dei loro seminari sulla pastorale della mobilità umana nella formazione dei futuri sacerdoti (1986), Annesso, 3: EV 10 (1986‑87) 14.

[66] Ibidem 4.

[67] Cfr. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 58: AAS LXXXIV (1992) 760.

[68] Per la definizione di “Missionario” o “Cappellano”, cfr. DPMC 35. Il nuovo CIC usa semplicemente la parola Cappellanus (cfr. i cann. 564‑572). Per quanto concerne il fine specifico di questa attività missionaria cfr. AG 6; per la necessità di un mandato da parte della Chiesa cfr. DPMC 36; per i destinatari, cioè i migranti, cfr. DPMC 15 e la già ricordata Lettera circolare Chiesa e mobilità umana, 2: l.c., 358. Per quel che riguarda il concetto di pastorale dei migranti cfr. DPMC 15.

[69] Cfr. DPMC 37 e 42-43.

[70] Cfr. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari e Congregazione per i Vescovi, Note direttive circa le mutue relazioni tra i Vescovi e i Religiosi nella Chiesa, Mutuae Relationes, 11 e 12: AAS LXX (1978) 480-481.

[71] Cfr. nota 13.

[72] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica postsinodale Vita consecrata, 58: AAS LXXXVIII (1996) 430; cfr. EEu 42‑43.

[73] Cfr. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari e Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, Lettera congiunta, A tutti i Religiosi e le Religiose del mondo: People on the move 48 (1987) 163-166.

[74] Cfr. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari e Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, Invito all’impegno pastorale per i Migranti e Rifugiati, Istruzione congiunta, 11: SCRIS Informationes 15 (1989) 183-184; cfr. AG 20 e DPMC 52, 53 e 54.

[75] Cfr. Messaggio 1988: l.c., 5; Istruzione Ecclesiae de mysterio, 4: l.c., 860-861, ed EEu 41.

[76] Sono costituite, in genere, da più parrocchie, chiamate dal Vescovo a costruire insieme un’efficace “comunità missionaria”, che opera in un dato territorio, in armonia con il piano pastorale diocesano. E’, insomma, una forma di collaborazione, di coordinamento interparrocchiale (fra due o più parrocchie limitrofe).

[77] Cfr. Messaggio 1996: OR 6 settembre 1995, p. 6.

[78] Cfr. PT, Parte prima: l.c., 265-266.

[79] Cfr. ibidem 266.

[80] Messaggio 1988, 3c: OR 4 settembre 1987, p. 5.

[81] cfr. Messaggio 2004: OR 24 dicembre 2003, p. 5.

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